Siamo esseri sociali, intelligenti e strutturati per la relazione. Il linguaggio verbale e non verbale è il veicolo di questa relazione con gli altri, con il mondo e con il tutto cui siamo chiamati sin da quando nasciamo. Poichè siamo tutti progettati per entrare in contatto e interagire con qualsiasi cosa c’è veramente da chiedersi come mai la relazione risulti essere l’esperienza più difficile che una persona sperimenta nella vita. Iniziamo in famiglia, poi a scuola, nei gruppi sportivi, nelle comitive e poi nel mondo del lavoro, nel matrimonio, nelle comunità religiose, ecc. Tutti facciamo queste esperienze e tutti soffriamo e ci lamentiamo di come vanno le cose. Perchè qualcosa di così naturale e spontaneo risulta essere così difficile e complicato? La prima riflessione è di natura strettamente antropologica e culturale. Se, per assurdo, prendessimo un bambino e lo rinchiudessimo in una stanza da solo per tutta la durata della sua crescita e poi aprissimo quella porta, troveremmo una persona incapace di parlare e comunicare. Noi parliamo perchè ci hanno insegnato a parlare. La riflessione si fa più profonda se pensiamo a quante lingue esistono e da dove vengono, chi le ha trasmesse, ecc… Ma torniamo a noi, il linguaggio si apprende e si sviluppa nel corso della vita. La prima difficoltà, quindi, deriva dai nostri insegnanti, dai nostri maestri. Quanto è importante avere delle guide sagge e preparate nell’età evolutiva, altrimenti bisogna passare per diversi gironi dell’inferno prima di capire, cambiare e crescere. Nel mio lavoro di psicoterapeuta gli argomenti infanzia e famiglia di origine sono all’ordine del giorno anche se si tratta di adulti. Ci creiamo degli schemi di comportamento, dei codici di decodifica della realtà, un sistema di valori e credenze e di conseguenza ci aspettiamo delle cose dagli altri, insomma, vogliamo che le cose e le persone siano come noi li vogliamo e non come in realtà sono, ci aspettiamo che gli altri rispondano alle nostre esigenze e ai nostri bisogni così come funzionava a casa da piccoli in famiglia, così come siamo abituati. Naturalmente questo è impossibile e profondamente patologico sia perchè gli altri sono altro da noi, unici e irripetibili, sia perchè siamo adulti e non più quei bambini lì. Prima di prendere coscienza di certi errori relazionali bisogna soffrire tanto, sbagliare e lavorare interiormente per lunghi anni al fine di crescere e maturare liberandosi in tal modo dai condizionamenti dell’infanzia. Tutto ciò non accadrebbe se ci fossero dei maestri, delle guide sagge che accompagnano in modo corretto, la crescita del bambino. Invece ci sono persone che, seppur adulte, riproducono sistemi malati di rapporto lungo la catena generazionale. Un altro errore comune nelle coppie, soprattutto quelle sposate, è di trasformare l’esperienza d’amore, di passione, di conoscenza reciproca, di progettazione e di crescita personale in una dimensione mentale di responsabilità, abitudine, noia, prevedibilità, ripetizione, ecc. Una sorta di rituale vuoto e formale, un dovere, un obbedire a delle regole che non si sa più da dove vengano e a che servano. Nelle coppie in cui si manifesta questa dinamica di noia e abitudine il dialogo è assente o incentrato su questioni pratiche come la spesa, le bollette, i soldi o gli orari di scuola e della palestra dei figli. Come mai accade questo? In primo luogo ritornano gli schemi di prima, se in testa abbiamo che la famiglia è questo tenderemo a riprodurre ciò che conosciamo. In secondo luogo perchè la coppia e famiglia sono un’esperienza anche sociale e ammettere a se stessi e agli altri che l’amore è finito richiede maturità e coraggio, anche perchè lasciarsi è sempre un trauma e un rischio per il futuro. Quando l’amore finisce nulla ha più senso e tutto si inaridisce e diventa pesante. Ammetterlo è un atto di coraggio e di responsabilità che a volte fa anche ri-innamorare la coppia che si era spenta.

 

www.alessandrospampinato.com

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