Spedizione internazionale di ricerca in Appennino organizzata dall’Università della Tuscia.
Dal 3 all’11 giugno 2017 una spedizione internazionale, coordinata da specialisti dell’Ateneo viterbese, studierà la biodiversità delle praterie dell’Appennino laziale-abruzzese, dall’Adriatico al Tirreno. Più di 25 esperti di praterie e steppe, provenienti da 10 nazioni diverse dell’Eurasia (incluse Cina, Russia ed Ucraina), si dedicheranno a una campagna intensiva di raccolta dati sulla ricchezza di specie di piante, muschi, licheni e insetti. Si tratta della 10° spedizione annuale dell’EDGG – Eurasian Dry Grassland Group- una rete scientifica per l’ecologia e la conservazione delle praterie. L’evento è organizzato dai botanici del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’Università della Tuscia, con il contributo finanziario della Fondazione Anna Maria Catalano di Fiumicino.  “Questo evento internazionale si svolge ogni anno in un diverso Paese dell’Eurasia: per il 2017 la scelta è caduta sulle montagne del Lazio e dell’Abruzzo” spiega Goffredo Filibeck, docente di Geobotanica all’Università della Tuscia e coordinatore  della spedizione. “È un po’ come quando un Paese viene scelto per ospitare le olimpiadi: una scelta che sottolinea l’importanza, a scala mondiale, dei pascoli dell’Appennino. Sono ecosistemi che tendiamo a considerare come ‘terre marginali’, ma che in realtà ospitano una biodiversità eccezionale, frutto della storia millenaria della pastorizia ovina e della transumanza”.  I dati confluiranno in un sofisticato database che consente di comparare le informazioni di tutte le spedizioni finora effettuate. “Le praterie semi-naturali europee, ossia i prati spontanei mantenuti dall’esercizio del pascolo, come ha mostrato una nostra recente ricerca sono l’ambiente con la più alta ricchezza al mondo di piante per metro quadrato” precisa l’ecologo tedesco Jürgen Dengler, supervisore del database dell’EDGG. “Al DAFNE studiamo da alcuni anni i pascoli appenninici con un approccio interdisciplinare che cerca di coniugare conservazione dell’ambiente e recupero della pastorizia tradizionale: anche perché senza più pecore questi straordinari ambienti rischiano di scomparire, ‘inghiottiti’ dal ritorno del bosco” conclude Filibeck.

 

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