Secondo la Cassazione la scissione può portare alla bancarotta fraudolenta.
Un nuovo ed autorevole campanello d’allarme è suonato sulle partecipate del comune di Civitavecchia.
Ma come sempre nessuno se n’è accorto. Il riferimento è ad un articolo comparso nei giorni scorsi sul Sole-24 Ore, a firma di
Giovanni Negri, con il quale si ricorda che “Anche una classica scissione, con la separazione delle passività lasciate in una bad company e dalle attività che vengono trasferite in una good company, può condurre alla bancarotta fraudolenta, se organizzata per far fallire la prima e provocare un grave danno ai suoi creditori. Per la Cassazione, sentenza n.17163 della Quinta sezione
penale, è così penalmente rilevante la cessione di un ramo d’azienda da una società già esistente, ma in considerevole calo di fatturato (indotto dall’informativa atipica antimafia e da accertamenti fiscali per omesse contribuzioni) a una newco”.
Il linguaggio è quello tecnico, ma basterà chiedere se magari qualcuno dei nostri abili e illuminati amministratori non vi trova esattamente una qualche analogia (se non l’esatta immagine plastica) di ciò che è avvenuto con le partecipate a Civitavecchia. La Cassazione dice insomma che la scissione può essere contestabile penalmente, anche perché nel caso preso in questione si sono determinate condotte “che, all’evidenza, hanno comportato un distacco di beni e di attività senza adeguata contropartita,
con conseguente compromissione dell’integritàdel patrimonio sociale della fallita e della garanzia dei creditori”. Sicuro che
nessuno si senta chiamato in causa?

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