Poiché la corazza esteriore dell’aragosta non è elastica, deve necessariamente mutare per crescere. Nel primo anno di vita un’aragosta muta circa 10 volte. Con il passare degli anni tende a mutare meno di frequente; quelle più grandi arrivano a mutare una volta ogni due-tre anni. Un’aragosta impiega circa sei anni per raggiungere il peso di circa mezzo chilo. In preparazione alla muta l’aragosta produce un nuovo esoscheletro sotto quello vecchio. Sangue e sali minerali vengono rimossi dal vecchio esoscheletro rendendolo più piccolo. Quando un’aragosta sta per perdere il vecchio esoscheletro, questo è molto molle e appare di colore bluastro. L’aragosta poi assorbe una gran quantità di acqua che fa gonfiare il nuovo esoscheletro e rompere il vecchio carapace. L’aragosta poi si gira sul fianco, si piega a forma di V e nel giro di alcune ore rimuove tutte le estremità dalla vecchia corazza. I sali minerali assorbiti vengono trasferiti di nuovo nel sangue e nei fluidi linfatici e vengono poi ridepositati nella nuova corazza molle. Di solito ci vogliono parecchi mesi prima che la nuova corazza sia completamente dura. Cosa spinge l’aragosta a nascondersi dietro gli scogli per mutare la sua corazza e crescere? La pressione interna! Il corpo molle, aumentando di volume, preme contro la corazza e crea disagio e dolore! Riflettiamo su questo simbolo. Quante volte ci siamo nascosti, ritirati e difesi dal mondo esterno che ci opprimeva e ci feriva? Quante volte mossi dal dolore ci siamo chiusi in noi stessi e abbiamo elaborato un cambiamento? Il disagio, il dolore, la sofferenza sono il motore della crescita e del cambiamento. Cosa saremmo noi senza il dolore e la sofferenza? Forse dei bambini sempliciotti e superficiali. La felicità non è euforia, soddisfazione o contentezza, è assenza di conflitto, è pace interiore, è l’anima quando riposa. Per poter gustare la felicità dobbiamo conoscere la paura, la rabbia e la tristezza. L’amore non è desiderio, libido o bisogno egoistico di qualcuno o qualcosa, è riconoscersi nell’altro o in qualcosa e sentirsi, di conseguenza, persone in cammino, con uno scopo, in crescita e dotati di senso, l’amore ci muove a condividere la nostra esistenza e a migliorarci. Per provare amore e riconoscerlo dobbiamo conoscere molto bene la solitudine, il sentirsi incompleti e privi di senso e di un posto in questo mondo, dobbiamo aver avuto a che fare con il nostro lato oscuro fatto di rabbia, paura e angoscia. Quando la pressione e il disagio raggiungono il punto di saturazione l’istinto di sopravvivenza ci spinge a trovare una soluzione, ci motiva al cambiamento. Quando la persona è integra e la coscienza è sveglia la trasformazione interiore è verso l’evoluzione e la crescita. Il bambino diventa adolescente, l’adolescente diventa adulto. Altrimenti la rabbia e la paura prendono il sopravvento e si struttura la patologia. Purtroppo, a volte, gli eventi e la sofferenza sono talmente forti da far inceppare il meccanismo e la nostra natura struttura i sintomi di un disturbo, con lo scopo di congelare il processo trasformativo per preservare l’Io dalla catastrofe. Ciò che più temiamo è perdere la nostra integrità, sentirci andare in pezzi! A questo serve la patologia: a proteggere l’Io! In terapia si analizza la patologia al fine di recuperare questo processo trasformativo interno attivato dal dolore, dalla sofferenza o dal trauma e, in sicurezza, con arte e con scienza, restituire alla persona il suo percorso evolutivo e la sua dignità di persona libera e adulta.
I sintomi e i disturbi sono opportunità di consapevolezza e conoscenza, sono il lato oscuro della forza della vita che è in noi e che si chiama amore. La verità e tutto il meglio dell’esistenza si trovano nella sintesi degli opposti.

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