Assassini seriali. Edmund Emil Kemper III (3^ parte)
(continua dalla scorsa edizione)
Il suo isolamento e la sua emarginazione, lo rendono ancora più brutale, tanto da infierire su tutti i gatti di casa, iniziando ad ucciderli e smembrarli senza alcuna pietà e facendo eseguire poi da sua sorella Susan, una sorta di simulazione di uno strano quanto mai raccapricciante rituale di morte, in cui Edmund stesso, chiedeva di essere coinvolto.
A questo punto, due sono le versioni, anche se sostanzialmente, poco cambia relativamente all’evolversi dei fatti. La prima, sarebbe quella che la mamma Clarnell, la quale come detto non nutriva certamente grandi simpatie per il figlio e che aveva iniziato a frequentare con assiduità uomini diversi, avrebbe approfittato di questa situazione per disfarsi letteralmente del figlio, divenuto ormai più che scomodo, lasciandolo in custodia al suo ex marito, dal quale però Kemper sarebbe fuggito via e poi per questo, affidato ai nonni, in quanto un’assistente sociale avrebbe riconosciuto in lui la presenza di un forte stress, generato da continui traumi ed umiliazioni derivanti dai suoi genitori.
Mentre la seconda, sarebbe quella che Ed, nell’estate del 1963, scappò di casa per recarsi dal padre che era rimasto in California, rimanendo però deluso, in quanto questi aveva contratto matrimonio con un’altra donna e non voleva più saperne di suo figlio, mandandolo a vivere dai nonni Edmund e Maude Kemper, che vivevano in un ranch nel North Fork, in California, in cui Kemper riteneva avvilente vivere, poiché tra l’altro, biasimava la nonna.
Ha solo 15 anni, quando, dopo averla ripetutamente pugnalata alla schiena, che Ed imbraccia la carabina calibro 22 del nonno e spara a sangue freddo alla nonna Maude, intenta in quel frangente a scrivere tranquillamente le ultime pagine di un suo libro di fiabe, colpevole probabilmente solo di aver costretto suo nipote a rimanere in casa, quando lui invece avrebbe preferito andare nei campi insieme al nonno.
Poi, rendendosi conto che il nonno non avrebbe certamente gradito la sua azione ed immaginando che di conseguenza si arrabbiasse, come da lui stesso successivamente asserito agli investigatori, lo attende, ed al suo rientro a casa, spara anche a lui, uccidendolo e lasciando riverso il suo corpo nella terra del patio.
Agli inquirenti, sopraggiunti sul posto dopo essere stati chiamati telefonicamente da Kemper stesso, dichiarò che “voleva solo sentire cosa si provasse a uccidere la nonna”.
Non riscontrando nel suo agire alcun movente, gli psichiatri ritennero Kemper una “personalità disturbata del tipo passivo-aggressivo” e per questo internato nell’Ospedale Psichiatrico Criminale di Atascadero nella Contea di San Luis Obispo.
Ma, la sua scaltrezza e la sua intelligenza, il suo alto QI, accertato in 136, quando nella media è considerato tra 85 e 115, il suo comportamento esemplare e collaborativo all’interno della struttura, gli consentì di divenire ben presto, amico ed addirittura assistente del suo psicologo.
Ora, guadagnatosi la fiducia di quest’ultimo, era tutto più facile! Poteva accedere anche ai test degli altri ricoverati ed alle loro cartelle cliniche, studiare e capire i loro comportamenti e, contemporaneamente, studiare a sua volta anche il suo psicologo, prendendone attentamente nota e possibili spunti ed essendo fermamente convinto, che tutto questo in futuro, gli tornerò sicuramente utile.
(continua nella prossima edizione)