Assassini seriali. Gianfranco Stevanin (2^ parte)
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Poi, a corollario di tutto questo, la Vespa e la Lambretta, divenivano i mezzi di locomozione di gran parte degli italiani, ora acquistabili anche a rate e con prezzi particolarmente popolari.
Dopo questa brevissima panoramica che ha interessato l’epoca in cui nacque Stevanin, veniamo ad alcuni cenni relativi al suo comune di nascita, Montagnana, che agli inizi degli anni ‘60 del 1900, vedeva una popolazione residente di oltre 10.000 abitanti, mentre attualmente ha subito un calo che lo ha portato alla presenza di poco più di 8.900 anime.
E’ considerato uno dei borghi più belli d’Italia. La sua economia si articola sul settore primario, sfruttando le risorse naturali del territorio, quali il turismo e l’agricoltura, con la presenza di piccole e medie industrie, nonché di attività di artigianato, con particolare riguardo alla produzione del mobile d’arte. Altro fiore all’occhiello del luogo, sono alcuni prodotti tipici, quali il Prosciutto veneto Berico-Euganeo ed il vino DOC Merlara.
Tuttavia, i primi anni della sua infanzia, Gianfranco Stevanin, li ha trascorsi a Terrazzo, un piccolo paesino di poco più di duemila abitanti situato nella provincia di Verona, distante circa dodici chilometri da Montagnana, ove i suoi genitori possedevano alcune proprietà agricole, atteso che anche in questo caso, l’agricoltura è l’economia prevalente di questo territorio, con particolare riguardo alle coltivazioni estensive di foraggio ed alla presenza di aziende dedite alla piantagione delle mele ed alla sua filiera.
A questo punto, dopo la consueta e brevissima introduzione riferita al contesto geo-socio-economico in cui venne alla luce e mosse i primi passi della sua vita, Gianfranco Stevanin, veniamo ora alla sua storia ed alle sue vicende.
Prima di essere inviato in un collegio di preti all’età di cinque anni, a causa di una particolare condizione della sua famiglia, dovuta alle difficoltà che stava incontrando la gravidanza della mamma, che poi perderà il bambino, il piccolo Gianfranco, vivrà i primi 4 anni della sua vita nelle campagne assolate di quei luoghi. Sembrerà un paradosso per quello che poi diverrà in età adulta, ma Gianfranco, provando ripugnanza, si rifiuterà sempre di aiutare suo padre a scuoiare gli animali che catturava durante le sue frequenti battute di caccia.
Dopo l’aborto di sua madre, il bambino lascia il collegio e torna dai suoi genitori ed appena adolescente, oltre ad essere un ottimo e socievole scolaro, inizia a collaborare nella gestione dell’azienda familiare, sinché, all’età di circa sette anni, a causa di un incidente conseguente all’utilizzo di un attrezzo agricolo, si procura un taglio alla testa, per il quale è necessario intervenire con quattro punti di sutura.
I genitori allarmati per l’infortunio, che sarebbe potuto andare anche molto peggio, al fine di attendere alla sua incolumità, decidono questa volta di mandarlo in un collegio di suore, ove trascorre il suo tempo in solitudine, con rare visite da parte dei suoi genitori, isolandosi sempre più e senza riuscire a stringere amicizie.
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