Assassini seriali. Jane Toppan – La serial killer di Boston (4^ parte)
(continua dall’edizione precedente)
Mentre intanto, già dal mese precedente dello stesso anno, un capitano della polizia, suocero di Minnie Gibbs, iniziò delle indagini sul suo conto, disponendo al Dottor Leonard Wood, di effettuare alcuni esami tossicologici sul corpo di Minnie riesumato, che finirono per dimostrare che la morte era stata causata dall’avvelenamento della donna.
Il cerchio introno a Jane si stava stringendo e gli indizi conducevano inconfutabilmente sempre più verso di lei, che risultò inoltre l’ultima persona che frequentò la famiglia Gibbs e per questo venne arrestata nell’ottobre del 1901 e rinchiusa nel penitenziario di Barnstable. Nel processo, Jane Toppan, si dichiarò innocente, ma a seguito di ulteriori esami sui cadaveri di Mattie e Davis, che vennero riesumati, le vennero poi attribuiti quattro delitti, seppur ancora una volta, si dichiarò innocente.
Fu solo nel 1902, che ammise le sue colpe, dichiarandosi responsabile, confessando di essere l’autrice di ben undici omicidi e che il suo intento e sogno, sarebbe stato quello di uccidere più persone di ogni altro criminale al mondo. Asserendo inoltre, che, l’alternanza nel salvare pazienti in procinto di morte, per poi ucciderli definitivamente, sarebbe stato per lei, anche fonte di piacere sessuale.
Dichiarata insana di mente e quindi considerata incapace di intendere e di volere e per questo non imputabile, fu internata a vita nel Tauton Insane Hospital, ove era continuamente ossessionata dal fatto di poter subire un avvelenamento da parte delle guardie, arrivando per questo, persino al totale rifiuto del cibo.
Le sue condizioni mentali, seppur in costante peggioramento, non sembra siano mai state causa di problemi, anzi, arrivò addirittura a divenire amica della moglie del suo carceriere, la quale, era finita per sostenere la sua innocenza.
Al termine del suo processo, il New York Journal, divulgò la notizia che Jane Toppan, aveva confessato al suo legale, di essere l’autrice di non meno di trentuno omicidi.
Rimase internata Nel Tauton Insane Hospital, sino all’epoca della sua morte, avvenuta il 17 agosto 1938, all’età di 81 anni.
Ho concluso ancora una volta, l’ennesima storia in cui un essere umano, per motivi vari, si sente il padrone della vita e della morte degli altri e soprattutto di quelli che erano stati affidati alle sue cure.
La storia, per tanti aspetti, non differisce da quella di altri soggetti che hanno agito, seppur in tempi e luoghi diversi, come lei e per questo definiti, “angeli della morte”. Ne ho trattati parecchi, a vari livelli, sino all’ultimo, quello forse più efferato, anche per il numero delle inermi, quanto innocenti vittime, quantificabili in centinaia e centinaia, relativo al criminale nazista Josef Mengele. Ulteriore esempio, ne è Marcel Petiot, detto anche Dottor Satana, che vissuto in Francia tra il 1897 ed il 1946, dapprima somministrava consistenti dosi di oppiacei ai suoi pazienti, con il fine di garantirsi continue prestazioni e relativi guadagni, per poi, dopo essersi inventato una sorta di servizio a pagamento finalizzato ad aiutare gli ebrei in fuga dalle persecuzioni razziali, dapprima li narcotizzava, depredandoli di ogni loro bene, per poi successivamente condurli in una sorta di camera della sua casa, ove con del gas, che fuoriusciva da alcuni tubicini, venivano uccisi miseramente ed i loro corpi bruciati nella grande stufa dell’abitazione.
Ma, torniamo a Jane Toppan.
La sua infanzia, è stata certamente dura e potrebbe aver anche influito sulle sue scelte insane effettuate da adulta. La morte della mamma nei primi anni della sua vita, la sorella più grande internata in un manicomio, e dopo aver subito sevizie varie, l’aver vissuto in stato di abbandono, privata delle più elementari necessità, gettata dal padre in un orfanotrofio, insieme alla sorellina poco più grande di lei, come fosse stata un fardello di cui disfarsi.
La durezza del padre di Jane e la sua indifferenza, mostrano una apparente similitudine a quella adottata dai genitori di Josef Mengele nei confronti di questi, seppur in una differente condizione sociale e di benessere, il quale tentò vanamente ed in più casi, di attirare la loro attenzione anche con gesti eclatanti.
(continua nella prossiamo edizione)