(continua dalla scorsa edizione)

Ci sarebbe ancora molto altro da dire sulla storia di Josef Mengele, traendola anche da alcuni racconti di chi è sopravvissuto ai suoi orrori e tra questi anche famosi medici internati nel campo, ma anche dai diari di chi ha lavorato al suo fianco, tuttavia, lo scopo del mio intervento è quello di analizzare un altro dei serial killer più efferati che la storia del nostro recente passato, ha purtroppo avuto modo di annoverare tra le sue pagine.

Mi avvio pertanto, come sempre, alla conclusione della mia disamina.

Josef Mengele fu un serial killer del genere organizzato, pianificando con attenzione, programmando, decidendo in prima persona e selezionando le persone che avrebbero comunque dovuto quasi certamente perire, subito o dopo non molto tempo e tuttavia, in un modo o nell’altro. Ovviamente, non aveva alcuna necessità di celare le tracce dei suoi orridi crimini, poiché commessi in un luogo ove ciò che accadeva, rimaneva comunque rigidamente segretato all’interno di una struttura di tortura e di morte, posta sotto l’egida militare di un regime totalitario, in un periodo buio della nostra storia e in uno dei luoghi ove si è verificato uno dei genocidi più grandi del mondo.

Ritengo, che Mengele, seppur fedelissimo al regime di Adolf Hitler, seguendone ogni sua direttiva, con il suo modus operandi, abbia anche inteso, più o meno consciamente, affrancarsi ed attirare l’attenzione dei suoi genitori, venuta a mancare nel periodo della sua infanzia, quando, nonostante studente provetto, sembra dagli stessi, i quali rimanevano di fatto, distaccati ed indifferenti, non sia mai stato gratificato.

Le motivazioni del suo agire?

Una l’ho appena ipotizzata al paragrafo precedente, ma anche altre sono sicuramente proprie del Dottor Josef Mengele.

La definizione “angelo della morte”, o “angelo della misericordia”, calza perfettamente a Mengele. Con autorevolezza ed autorità, aveva il potere assoluto di decidere la fine di centinaia, migliaia di deportati che da lui venivano selezionati, all’arrivo del treno in banchina e provenienti da ogni parte d’Europa, agendo con assoluta freddezza, distacco e mancanza di empatia. I più, mandati immediatamente a morte o addirittura, freddati con un colpo di pistola alla testa, da egli stesso sparato.

L’appartenenza al genere “missionari” è un’altra indubbia motivazione che mosse l’agire di Mengele. Insita proprio nell’eseguire degli esperimenti su esseri umani, per annientare alcune razze, gruppi etnici e politici, a favore di assurdi quanto mai fantascientifici studi, finalizzati a migliorare e garantire l’ampliamento della razza ariana, o pura, che dir si voglia.

C’è poi l’aspetto edonistico, che non manca certo al nostro criminale, che trovava   indubbio piacere nel torturare le proprie vittime, mosso sicuramente anche da una notevole dose di sadismo, unitamente all’appartenenza anche al genere definito “dominatori”, che mediante l’esercizio del potere sulle sue vittime, proprio in virtù dell’osservazione fatta poc’anzi, contribuiva in questo modo, anche agli occhi dei suoi genitori, al rafforzamento della propria autostima, sia fisica che morale, in compensazione di quell’indifferenza, subita da parte degli stessi genitori nella sua infanzia.

Per concludere, è innegabile e quanto mai altamente probabile, che Josef Mengele, soffriva di un particolare stato psicopatologico, che lo rendeva indifferente alle torture, alle mutilazioni, alle sofferenze ed alle uccisioni di cui quotidianamente si macchiava, trovando in tutto questo, probabile piacere ed appagamento. Ulteriore prova, ne fu anche il suo comportamento, caratterizzato da fluttuazioni del tono dell’umore, dovuto con buona certezza, alla presenza di un disturbo bipolare, detto anche malattia maniaco depressiva o psicosi maniaco depressiva.

(fine)

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