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Solo dopo due anni, nel 1869, una povera donna, Barbara Bravi, fu aggredita nelle campagne di Buttanuco, presa per il collo e sbattuta in terra, mentre l’aguzzino raggiunse l’eiaculazione e scappò via, lasciando la presa. Alcuni indizi conducevano a Vincenzo Verzeni, ma la donna non fu in grado di confermare se l’autore dell’aggressione, fosse effettivamente lui, che tuttavia riconobbe, almeno parzialmente, solo dopo alcuni anni, quando il criminale fu arrestato per aver commesso altri  crimini.

Nello stesso anno, il criminale aggredisce un’altra donna, Margherita Esposito, la quale, robusta e forte, oppone resistenza, ferendolo al volto nella colluttazione e proprio per questo la polizia riesce in seguito ad identificarlo, seppur tuttavia, non furono avviati in tal senso, anche questa volta, procedimenti penali a carico del medesimo Verzeni.

Nel 1869, ancora una vittima della violenza del serial killer, anche in questo caso una donna, tale Angela Previtali, che però denuncia agli organi di polizia di essere rimasta vittima di un rapimento sempre nelle campagne del bergamasco. Dopo essere stata trattenuta per alcune ore, liberata poi  dall’uomo, dopo che questi sembra sia stato preso da un’inspiegabile quanto mai inaspettata, compassione nei suoi confronti.

L’otto dicembre del 1870, ha inizio la vera e propria carriera omicida di Vincenzo Verzeni.

Giovanna Motta, una giovanissima ragazza, appena quattordicenne, mentre si stava recando a piedi a far visita ad alcuni suoi parenti a Suisio, un altro piccolo paesino della bergamasca, distante poco più di un paio di chilometri da Buttanuco, improvvisamente sparisce nel nulla e di lei, nessuna più traccia o notizia.

Solo dopo quattro giorni di vane ed affannose ricerche, un contadino rinviene delle interiora in un cavo di un albero, che pensava fossero di un animale. Solo a tarda sera, viene ritrovato tra la neve il corpo cadavere della giovane, barbaramente ed orrendamente trucidato e mutilato, con evidenti ferite da morso sul collo, il resto del corpo smembrato, con interiori ed organi genitali recisi e parzialmente mancanti, presentando inoltre, un muscolo di un polpaccio, lacerato e strappato.

Nelle immediate vicinanze, furono ritrovati degli spilloni, che condussero gli inquirenti a pensare di trovarsi alla presenza di una pratica di piquerismo, termine questo, che deriva dalla lingua francese.

“Piquer”, infatti, significa pungere e forare e con la stessa parola, viene indicato un particolare genere di parafilia di forma sadomasochistica, il cui autore, utilizzando oggetti taglienti ed appuntiti, prova piacere nel tagliuzzare, pungere ed infilare aghi nel corpo della sua vittima, con assoluta mancanza di empatia e preferendo riversare e concentrare il suo agire, su alcune determinate zone del corpo, come genitali, natiche e seni. Pratica comune anche ad altri serial killer, come ad esempio, Jack lo squartatore e Jeffrey Dahamer, quest’ultimo detto anche il mostro di Milwaukee.

Le violenze del Verzeni, proseguono nell’anno successivo. Era appunto l’aprile del 1871, quando Verzeni, importuna un’altra contadina, Maria Galli, che lo denuncia alla polizia, mentre nell’agosto dello stesso anno, spintona violentemente Maria Previtali, tentando anche in questo caso, di gettarla in terra e morderla al collo.

Nel 1872, è la volta di Elisabetta Pagnoncelli, i cui poveri resti, furono rinvenuti da sua marito nel medesimo stato in cui furono ritrovati solo  due anni prima, quelli della giovanissima Motta. Nuda, strangolata con una corda, seviziata, evidenti segni di morsi sul collo, sventrata con gli organi asportati e lembi di carne strappati e lacerati. Tre dei suoi spilloni per i capelli, conficcati nella schiena ed altri, disposti accanto al corpo.

In questo caso però, due donne della zona, affermano di aver visto e di aver riconosciuto in Vincenzo Verzeni, colui che il giorno prima del delitto, proprio in quel punto, stava parlando con Elisabetta ed è a questo punto, che emergono anche le testimonianze da parte delle donne che il Verzeni, aveva precedentemente tentato di uccidere.

Finalmente, nel 1873, Vincenzo Verzeni viene arrestato e la sua folle e violenta corsa omicida, vede termine, mentre Cesare Lobroso, viene incaricato di redigere la perizia psichiatrica a carico del criminale.

Lombroso, nella sua profilazione, riconosce a Verzeni, il possesso della capacità di intendere e di volere nel momento in cui commise i fatti, definendolo tuttavia, un sadico sessuale, un vampiro cannibale divoratore di carne umana.

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