Dunque in questi ultimi tempi si sono affacciate alcune ipotesi sul territorio di Civitavecchia. Dico ipotesi solo per il livello della mia conoscenza, ma suppongo che la quasi totalità dei cittadini si trovi nella stessa mia condizione: la realizzazione di una nuova centrale a metano a Torrevaldaliga nord, un impianto di piscicultura a mare, un impianto a gas a Torrevaldaliga sud, un progetto per un mega digestore in zona industriale e non so cos’altro ancora.
Una serie di disastri neanche annunciati ma ventilati, accennati, insinuati.
La prima domanda è se si tratta soltanto di ipotesi oppure se alcune di esse sono passate da ipotesi a una fase autorizzativa avanzata.
Nulla ci è dato sapere se non le notizie e in qualche caso le indiscrezioni fornite dagli organi di informazione.
E’ normale questa prassi? E’ accettabile?
Non mi interessa in questa sede indicare le responsabilità: Governo, Regione, Comune. Non cito l’area metropolitana, perché non colgo i segni della sua esistenza.
Mi interessa sapere la parte che possiamo avere noi, la città di Civitavecchia, e aggiungerei i comuni limitrofi, a fronte di scenari che segnerebbero i nostri territori per i prossimi decenni in modo irreversibile.
Un tempo si parlava di piattaforme di sviluppo, di programmazione economica e le popolazioni si interrogavano sul loro futuro e lottavano per averne uno migliore. Si poteva vincere o perdere, ma si cercava di far sentir la propria voce. Indipendentemente dai governi nazionale e regionale.
La città discuteva, si dava obiettivi e alla fine si organizzava per dare risposte unitarie. Perché sui temi dello sviluppo non si può andare in ordine sparso e, soprattutto, non si può accettare che le scelte maturino nel segreto nelle stanze dei potenti.
E’ nostalgia del passato, di un passato ormai tramontato ed improponibile? Siamo in una fase in cui tutto si decide sulla testa del cittadino inconsapevole, le cui uniche reazioni sono affidate agli annunci o ai post su Facebook?
Di fronte alle “ipotesi” che si fanno avanti credo che una riflessione collettiva si imponga: quale futuro per la città?
Bisognerà pure avere delle sedi di discussione in cui riflettere sugli scenari possibili. Singole associazioni, qualche partito, i sindacati, le associazioni imprenditoriali e di categoria ogni tanto si affacciano per avanzare proposte spesso innovative, sicuramente alternative a ciò che si sta preparando in altre sedi.
Ma poi? Chi coordina, chi mette insieme le idee, i progetti? C’è un tavolo in cui si incontrano i rappresentanti della città reale, gli interpreti dei suoi bisogni?
Questo ruolo lo deve svolgere il Comune, è un suo preciso compito. Nel rispetto delle autonomie, è persino superfluo dirlo, ma una cabina di regia come si usa dire oggi, ci deve essere.
Non basta dire no. E’ troppo semplice. Ma soprattutto è improduttivo.
Se vogliamo contrastare il disastro territoriale che sta avanzando dobbiamo avere un’altra idea di sviluppo da sostenere, tutti insieme.
Continuando così, si è sicuramente condannati a subire, come troppe volte è avvenuto.
E c’è ancora un’altra considerazione da fare. Senza stimoli, la città non reagisce. Senza obiettivi, prevale l’attesa fatalistica, la passività.
Le reazioni sono oggi affidate per lo più a una parte minoritaria della nostra società.
Senza progetti, senza idea del futuro, si perde anche il senso della comunità e della identità. E’ questo il male che da qualche anno sta indebolendo la nostra città e sta allontanando i cittadini dai suoi problemi. Forse non si crede neanche più che questi siano territori in cui i nostri figli possano continuare a vivere.
La perdita dell’idea di futuro e la rassegnazione vanno di pari passo.
Il non riconoscersi in una comunanza di obiettivi e di finalità, la chiusura nella propria individualità, è ciò che sta avvenendo da anni. E’ una tendenza da contrastare con determinazione e per farlo bisogna innanzitutto conoscere e socializzare le conoscenze.
Ci rendiamo conto che i cittadini non sanno nulla di ciò che si prepara?
I temi che citavo in premessa sono sconosciuti alla quasi totalità della cittadinanza che deve carpire le conoscenze o dagli organi di informazione, che a loro volta le carpiscono dalle loro fonti, o dal sentito dire.
Dobbiamo appropriarci delle conoscenze dalle fonti originarie, dobbiamo sapere.
E poi discutere, con il contributo di tutti. E poi decidere il da farsi.
Questa trasparenza va garantita innanzitutto dal Comune, ma anche dalle forze politiche. C’è il dovere civico di mettere la città in condizione di possedere tutti gli elementi per giudicare e valutare.
Non farlo significa essere complici di chi pensa che le decisioni possano essere tranquillamente prese senza il consenso delle popolazioni.
FABRIZIO BARBARANELLI