Lettera aperta, scritta dall’assessore Ceccarelli, in collaborazione con l’assessore Tuoro.
Il primo stipendio che ho ricevuto è stato in contanti, fisicamente depositato in una “busta paga”. L’avere un conto corrente in banca era diffuso ma non obbligatorio. Quindi niente accredito, carte di credito, bancomat, etc. Trasferire denaro con la banca, oltre ad essere costoso, comportava un “sequestro” della somma anche per 5 giorni. Il credito era gestito sostanzialmente in due forme: i mutui per acquistare la casa e le famigerate “cambiali” (scherzosamente chiamate anche “pagherò”). La prima automobile, una Fiat 127, l’ho pagata con le cambiali nel 1975.
Ricordo anche, da ragazzino, il formato delle 10.000 lire, grandi quanto almeno due biglietti da 50 € attuali e che, per riporle nel portafoglio, andavano piegate in quattro.
Tutto viaggiava sul contante e chi era a stipendio fisso (molto più fisso di oggi) usava, all’inizio mese, dopo aver avuto la busta paga, dividere in “monticelli” o “borsellini” la cifra totale. Ogni borsellino corrispondeva ad una esigenza di pagamento. Uno dei monticelli serviva per fare la spesa. Da questo l’abitudine di acquistare giornalmente, al mercato, al minimo prezzo. Per far bastare quanto era rimasto dopo aver pagato mutuo, utenze varie, medico, essersi vestiti, aver mandato i figli a scuola, etc.
C’era anche un sistema di micro-credito. Le nostre mamme, quasi sempre casalinghe, ci mandavano al negozio di alimentari più vicino dicendoci: ”Di’ al sor Gino che segni. Poi passo a pagare”. E il sig. Gino, estratta la famosa matita da sopra l’orecchio, pescava in una tasca il libretto dei crediti e annotava. Le annotazioni crescevano sempre verso fine mese.
Al di là della terminologia e delle tecniche più o meno complicate, l’economia gira così. Ci si procaccia del denaro, lo si spende e, se si riesce, una parte si risparmia, si chiedono prestiti, si restituiscono le rate etc.
Le aziende hanno qualche complicazione in più. Consegnano prodotti per la vendita che sperano saranno pagati. Loro stessi aspettano di aver incassato qualcosa per pagare i fornitori delle loro materie prime. Ricorrono alle banche per avere il contante per funzionare regolarmente e colmare il divario tra quello che incassano e quello che devono pagare e sono giudicate (il famoso “rating”) sulla capacità di restituire regolarmente quanto prestato e di non alzare il proprio debito.
Trasferiamo questi concetti al Comune per spiegare perché una gestione finanziaria (denaro) in attivo poi concluda i conti con un “disavanzo” o perdita di 30,3 M€.
In estrema sintesi, cosa è stato fatto in questi anni? Ho equilibrato quanto incasso con quanto spendo, ho aumentato di 32 M€ gli incassi, ho ridotto di 59 M€ i vecchi debiti fino al 2017; ho quindi un bilancio positivo per più di 40 M€ che diventa negativo per 30 M€ perché ho chi non paga quanto dovrebbe per più di 91 M€. Se volete il dettaglio, proseguite la lettura.
Se osservate il foglio che pubblico, estratto dal Rendiconto 2018 approvato in Giunta qualche giorno fa (e che andrà approvato in Consiglio), la spiegazione è semplice:
Un sostanziale pareggio nel 2018 tra quanto incassiamo (riscossioni) e quanto spendiamo (pagamenti) è indice assoluto di una bontà di gestione. Se consulto l’analogo Rendiconto 2014, avevo spese per 7,6 M€ superiori alle entrate con un deposito in banca di 7.5 M€ (fondo di cassa). Come dire che ho zero in cassa. Inoltre gli incassi erano da 104 M€ mentre un notevole miglioramento si ha nel 2018 con incassi pari a 136 M€.
La criticità che il Comune ha avuto negli anni è rappresentata dai “Residui Attivi” che altro non sono che le somme che avrei dovuto incassare. Nel 2018 non sono riuscito ad incamerare 21,7 M€ mentre per gli anni precedenti questo mancato incasso ammonta a 70 M€ per un totale di 91,7 M€. Le analoghe cifre del 2014 sono 25,2 M€ nell’anno e 65,8 M€ per gli anni precedenti; sempre 91,7 M€. Sono un’azienda (Comune) che ha fornito principalmente servizi ai cittadini e che ha emesso fatture per 91,7 M€ che non mi sono state pagate. Queste fatture altro non sono che le bollette per acqua, rifiuti, per tributi locali ma anche contributi statali o regionali dovuti e non trasferiti.
La difficoltà degli incassi mi costringe a rimandare parte dei pagamenti (residui passivi) dell’anno. Nel 2018, i residui passivi ammontano a 34,8 M€ ed abbiamo ridotto da 66 M€ a soli 7,5 M€ i debiti fino al 2017.
Nella contabilità, lo Stato poi prevede che si debbano annotare in fondi pluriennali anche le spese che rimando agli anni successivi; nel nostro caso ammontano a 2,3 M€ su quanto va speso nel corso dell’anno e 5,7 M€ per gli investimenti (opere pubbliche in genere).
Che azienda siamo per una banca? Se magicamente potessi incassare quanto ho previsto (91,7 M€) e pagassi tutto (42, 3 + 2,3 + 5,7 M€) avrei un bilancio positivo di 41,6 M€. Quindi un’azienda in salute.
Ma qui cominciano i guai. Vado ad analizzare la capacità di recuperare tutto quanto dovrei incassare e scopro che ho 51,6 M€ bloccati perché ho 37,2 M€ di “crediti di dubbia esigibilità” su entrate da cittadini e società ma anche Regione e Stato che probabilmente non mi pagheranno (Tari, Tasse varie, fitti, trasferimenti, etc.), 4 M€ per rischi legati alla chiusura delle vicende delle vecchie società partecipate (HCS, etc.) ed il resto per problemi vari, contenziosi, etc.. A questo dobbiamo aggiungere che conosciamo la cifra che sicuramente dovremo spendere in futuro perché ce l’abbiamo in cassa per fini ben chiari (finanziamenti regionali, mutui, contributi, stipendi, etc.) per altri 18,6 M€ e che 1,8 M€ sono destinati agli investimenti.
Quindi se sottraggo queste cifre bloccate al bilancio positivo (+41,6 – 51,6 – 18,6 – 1,8) ottengo un bilancio negativo (disavanzo) per 30,3 M€. Siamo un’azienda viva non in pareggio, che non produce utile e campa con un grosso debito che si annullerebbe se riuscissimo a recuperare il credito che abbiamo.
Mi spiace per i cittadini solerti che pagano tutto, ma c’è stato chi, per anni, le tasse non le ha pagate. Evadendo, ha contribuito all’attuale difficoltà del Comune, complici con gli Amministratori dell’epoca che non hanno lavorato con rigore per non perdere consensi o, peggio, perché impegnati a fare altro. Amministratori che giocano con gli strumenti finanziari senza esserne a sufficienza competenti lasciando chi li segue a gestire complicati strumenti finanziari (swap) che generano ingenti interessi da restituire (5 M€ nel 2018) e che gonfiano società già sull’orlo del crack, causando una buona parte di questa situazione. E sicuramente questi nostri concittadini, giustamente orientati a pretendere, sono quelli che poi dicono che non c’è la volontà di fare o che la giunta del M5S non ha fatto nulla.
Vorrei vedere loro con uno stipendio traballante, con mutuo e rate varie da pagare, con il dover campare mese dopo mese e con un debito in banca non piccolo, cosa farebbero se non riuscissero a dare l’idea alla banca che possono ridurre o mantenere stabile il loro debito. Acquisita la fiducia di chi gli fa credito, forse troveranno qualcuno disposto ad aiutarli. Questo è quello che questa Giunta, con innumerevoli e faticose operazioni, ha dovuto inventare (complice anche il continuo cambio delle norme contabili dello Stato), per riacquistare la fiducia e non fare …. crack.
Volontà di risanare da vendere, risultati eccezionali. Bravi. E di cose pratiche, lasciatemelo dire con orgoglio, se ne sono fatte tantissime.