La questione di un’idonea collocazione amministrativa della nostra città, già vivamente dibattuta nel passato, viene  ripresa come punto programmatico dall’attuale amministrazione comunale.  Sta a significare la profonda aspirazione della città a gestire la propria attività e i propri interessi all’insegna di una maggiore autonomia  instaurando rapporti più favorevoli con gli enti territoriali di area vasta. Troppo importante per essere liquidata con aprioristici schieramenti a favore o contro la permanenza in area romana, con atteggiamenti insomma di natura più partitica che politica, più contingenti che prospettici, sollecita piuttosto riflessioni  e approfondimenti su alcuni problemi che vi sono strettamente connessi.

Esige in via preliminare un giudizio sullo stato di salute della città metropolitana di Roma capitale e sull’adeguatezza della legge statale che in sede di riordino del modello organizzativo dei territori locali ha voluto, tra l’altro, far coincidere l’area della città metropolitana con il territorio della provincia di riferimento nonché affidare la carica di presidente del nuovo ente al sindaco della città capoluogo. E sollecita un giudizio sulla rappresentatività che la città metropolitana è in grado di accordare a Civitavecchia,  anche per via della disparità di poteri che si registra tra conferenza dei sindaci e consiglio dell’area, e dell’unicità del collegio elettorale della circoscrizione metropolitana. Vuole quindi una valutazione in ordine all’incidenza sulla gestione amministrativa comunale delle decisioni prese dal livello soprastante,  rivelatesi talora invasive dell’ambito locale. Necessita altresì di un’attenta ricostruzione degli avvenimenti che un secolo e mezzo fa, nella delicata fase di passaggio del territorio pontificio sotto la sovranità dello stato italiano, provocarono il declassamento della città di Civitavecchia da capoluogo di delegazione apostolica (una sorta di provincia) a comune della neo costituita provincia di Roma.

Richiede infine una disamina delle ricadute che potrebbero rilevarsi sullo sviluppo  e sulla stessa governance della città e del territorio dalla radicale variazione del punto geografico di osservazione delle nostre problematiche procurata da un assetto istituzionale alternativo all’area metropolitana e ancorato invece all’entroterra per costituire con Viterbo  un’unica provincia bipolare dell’Alto Lazio.  E, in connessione, vuole che si valuti se una  soluzione  del genere non possa concorrere a riequilibrare il peso demografico di un siffatto organismo con quello delle provincie di Frosinone e Latina, e ad attenuare la mole di poteri e funzioni esercitata da Roma su numerose e importanti realtà laziali. Dal momento che i dati  statistici indicano che la Capitale, ben al di sotto dei tre milioni di abitanti, risulta essere per  estensione non solo il primo comune ma anche la prima città metropolitana della Repubblica, e addirittura la seconda città metropolitana d’Europa. E arriva ad includere i tre quarti della popolazione laziale.

Il presidente

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