L’astensione dal lavoro dei dipendenti non giustifica la chiusura delle farmacie comunali avvenuta lunedì scorso. Ecco la storia di un disservizio imposto ai cittadini in un settore delicato come quello sanitario.
Serrande abbassate, braccia incrociate: insomma, sciopero.
Come se una farmacia fosse un esercizio commerciale, un’attività come le altre. Invece quel che è accaduto alle farmacie comunali lo scorso lunedì non è stato uno sciopero “normale”, proprio perché le farmacie non sono attività come le altre.
Il servizio che una farmacia eroga è infatti normato più che normale, e nella fattispecie è normato dalla legge. Il perché (indovinate un po’) è presto detto: al suo interno una farmacia contiene i farmaci, ma anche tutta una “merce” di vario tipo che rientra a pieno titolo in quanto di competenza del servizio sanitario nazionale.
Non solo: nel territorio sul quale insistono, una farmacia fa parte di una “rete” che deve essere sempre attiva.
Per questo esiste la farmacia di turno.
E se un turno salta, sul territorio viene a mancare una funzione vitale (nel termine letterale della parola).
Proprio queste sono le ragioni per cui le farmacie comunali non potevano chiudere lunedì scorso.
E si tratta di nozioni che, se possono essere ignote all’avventore-utente, non possono esserlo al direttore delle farmacie stesse, che ha l’obbligo di far funzionare il punto di cui è responsabile anche in caso di astensione dal lavoro dei dipendenti (così come avviene per le farmacie private).
Ecco perché ciò che è avvenuto è stato gravissimo. Non si può “spegnere una croce” come se niente fosse…