Correva l’anno 2012 quando la notizia del progetto delle Terme di Civitavecchia fece tremare Viterbo. Si accese un dibattito politico e mediatico che culminò con una discussione in consiglio comunale. Viterbo, che ha una tradizione termale consolidata, aveva “paura” della concorrenza di Civitavecchia che, per “logistica, posizione e vicinanza al mare”, appariva più favorita. Questa preoccupazione è la prova di quanto sarebbe sensato e produttivo lo sviluppo del termalismo sul nostro territorio.
Sono passati sette anni da allora, ma le terme dove sono? Esistono solo come una parola d’ordine, ma pochi si rendono conto che il progetto imprenditoriale è complesso e che non vuole solo acqua e immobili, ma la costituzione di una vera e propria filiera. Occorre pianificare i servizi, procacciare i clienti, farli arrivare comodamente al sito, erogare servizi termali e accessori di qualità, reperire e formare in maniera adeguata il personale. E qui le possibilità sono due: aspettare, come si è sempre fatto in città, l’arrivo del “grande investitore” che con la bacchetta magica ed il paniere ricolmo di denari risolva i problemi del mondo, oppure far si che la nascita del termalismo come attività d’impresa sia un’opportunità nella quale i piccoli e medi imprenditori di Civitavecchia siano protagonisti, ognuno con le sue peculiarità e capacità. Noi propendiamo per la seconda. Vogliamo vedere gli uomini e le donne di Civitavecchia appropriarsi del proprio destino.
In questa visione, più che fare inutili colate di cemento ad uso alberghiero, sarebbe opportuno puntare su di una ricettività su due livelli, sia residenze innervate nel sito termale che su di una ricettività diffusa, che crei una rete di bed & breakfast che si snodi nel centro storico, rete che dia al turista la possibilità di usufruire, contemporaneamente, dei servizi termali e delle bellezze della nostra città. Questo avrebbe una ovvia ricaduta sul commercio del centro storico, che oggi langue.
In quest’ottica la ricchezza prodotta dal sito termale non rimarrebbe confinata a bordo vasca, ma sarebbe un’opportunità per tutta Civitavecchia. Non solo posti di lavoro nella filiera, ma anche nell’indotto.
E’ chiaro, però, che un progetto così complesso non può essere portato avanti solo dagli imprenditori. Questi devono pensare ad erogare il servizio e a dare lavoro giustamente retribuito. La visione d’insieme sul termalismo spetta al comune, che deve pianificare tutti gli interventi necessari, dare coerenza al lavoro delle imprese, erogare le sub concessioni, occuparsi del raccordo tra filiera ed indotto, dei collegamenti, dello sviluppo del marketing territoriale. Occorre la capacità di guardare oltre gli aspetti burocratici ed amministrativi e di pensare alle attività produttive non come singolarità isolate, ma come parte di un tessuto produttivo comune che deve pervadere e rendere possibile la massima occupazione possibile in tutta la città. Tutto questo giocando la partita su tre livelli: offrire il servizio termale alla città e al comprensorio. Allestendo pacchetti “all inclusive” per il week end, in modo da attrarre il flusso turistico proveniente dalla capitale. Creare un “turismo della salute” principalmente a scopi curativi di media durata.
Il termalismo, inoltre, deve partire da un vero e proprio “piano delle acque” che faccia una mappatura delle sorgenti sulfuree in modo da ottimizzarne e garantire un flusso costante sia nel nuovo sito che alle terme della Ficoncella. La Ficoncella, oltre ad essere una realtà consolidata, è parte integrante della storia di Civitavecchia.