Musica, lumini, preghiere e misteretti: in tanti nei diversi quartieri hanno fatto sì che la processione uscisse simbolicamente anche quest’anno, nonostante il coronavirus. Il priore Trotti: “Trenta minuti in cui siamo diventati un’unica identità”.
CIVITAVECCHIA – Le note della marcia funebre di Chopin nei diversi quartieri. Lumini e candele accese sui balconi e dietro le finestre. Misteretti realizzati con diversi materiali esposti fuori le case. Drappi bianchi, come il saio dei penitenti, e neri come i drappi portati in processione. Civitavecchia ha risposto presente all’invito del priore dell’arciconfraternita del Gonfalone David Trotti, dimostrando che la processione del Venerdì Santo non è solo un evento, ma un modo per riconoscersi comunità.
“Civitavecchia ha dimostrato che il valore ed il senso delle tradizioni sono connaturate al suo essere intimo e che non possono sconfitte persino dal coronavirus – ha commentato Trotti – la processione è un qualcosa che esiste nelle nostre profondità e che abbiamo vissuto ieri nella sua integralità: preghiera, cultura e senso di identità. Ero come tutti a casa, ma con gli occhi degli altri, attraverso le mille immagini ricevute ho visto quello che stavamo vivendo. Raccontarlo è difficile perché difficile è raccontare l’emozione: i drappi, le luci, i misteretti, la musica, la preghiera hanno fatto uscire la processione lungo le vie del cuore. Una processione che è uscita perché i civitavecchiesi hanno voluto che uscisse. Mentre ero affacciato alla finestra ho visto scorrere l’insegna che apre la processione, ho visto i carri, le bandiere nere, i dindolondò, i romani, i figuranti, il carro ed i penitenti con la loro devozione e il loro silenzio espressione di quell’interiorità che rende unica la nostraprocessione. Il pensiero va a loro perchè sono stati quelli che più hanno sofferto per la sua mancanza fisica. Ho visto la salita del carro, tutti i sagrestani, i volontari che ci aiutano, le forze dell’ordine con la loro silenziosa ed indispensabile presenza, la croce rossa a cui non si dovrebbe mai smettere di dire grazie, i fratelli dell’Orazione e Morte ed i portatori di Santa Fermina. Non scorderò mai più le note che alle 20.45 abbiamo sentito risuonare nell’aria della città di tutti, una emozione che racconteremo ai bambini ed alle bambine che porteranno i misteretti fra 20 anni. Ho sentito la preghiera – ha aggiunto il priore – innalzarsi e dirigersi verso coloro che sono tornati alla casa del Padre e coloro che soffrano. Ho visto i pensieri avvolgere in un abbraccio i medici e gli operatori sanitari”.
Emozioni forti, come sottolineato e ribadito dal priore dell’Arciconfraternita del Gonfalone: “Trenta minuti in cui siamo divenuti un’unica entità, un unico organismo che ha pregato, si è emozionato ed ha detto che quello che stava vivendo aveva un significato che andava oltre i gesti e le azioni – ha concluso – non mi resta che dare a tutti appuntamento, a quando i misteretti che sono usciti e che abbiamo appeso ritorneranno nella Chiesa della Stella. Le strade del cuore che la processione ha percorso sono state le nostre strade per una sera, tutti insieme”.