L’amore, nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere umano. Talvolta la frustrazione o l’assenza di esperienze serene di questo sentimento, purtroppo sempre più frequenti nell’attuale società ricca di rapporti instabili, possono generare un disordine, un disconoscimento o una negazione di questo bisogno, che rappresenta, invece, un importante ingrediente di un sano sviluppo psicofisico e di una buona salute mentale e fisica nella vita adulta. Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in “un’abitudine a soffrire” fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali. La dipendenza affettiva è un quadro psicopatologico in cui il “rapporto d’amore” è vissuto come condizione stessa della propria esistenza. Gli individui che ne sono affetti vedono nell’altro la fonte di ogni benessere e, pur di mantenere e non rischiare di perdere l’oggetto amato, sono disposti a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale fino al punto di annullare il proprio Sé. L’importanza attribuita all’oggetto d’amore spinge la persona dipendente a preservare il rapporto “sentimentale” a tutti costi fino ad assumere un atteggiamento di assoluta “dedizione” adoperandosi affinché i bisogni e i desideri dell’altro vengano soddisfatti. Questo atteggiamento è spiegato dal fatto che nella dipendenza affettiva la persona vive costantemente nel terrore di poter perdere la persona amata, evento considerato insopportabile e inconciliabile con il prosieguo della propria vita. Si parla appunto di dipendenza affettiva per sottolineare il fatto che, proprio come per le dipendenze da sostanze ( ad es., droga o alcol), il soggetto non può rinunciare alla sua dose giornaliera, pena “la crisi d’astinenza”, ma anzi, con il passare del tempo, richiede “dosi” di presenza o vicinanza sempre maggiori. Ma cos’è il “troppo amore”? È passione, perdizione, delirio, ossessione. Quando amiamo troppo? Quando essere innamorati significa soffrire e si giustificano i malumori, il cattivo carattere, l’indifferenza, i tradimenti del partner. Quando siamo offesi dal suo comportamento ma pensiamo sia per colpa nostra, perché non siamo abbastanza attenti o affettuosi. Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuosi allora vorrà cambiare per amor nostro. Quando la relazione mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza. Quando cerchiamo qualcuno che voglia amarci. Ma in realtà quando amiamo troppo non amiamo affatto, perché siamo dominati dalla paura di restare soli, di non essere degni d’amore, di non valere niente, di essere ignorati o abbandonati. amare con paura significa attaccarsi morbosamente a qualcuno che riteniamo indispensabile per la nostra esistenza e attivare tutta una serie di meccanismi di controllo per “tenere l’altro nell’area del nostro possesso”. Chi ama troppo tende a cambiare la persona amata e di cui ha bisogno, perché diventi simile a ciò che lei vorrebbe che fosse, e per questo la terrà d’occhio, la sorveglierà, la seguirà, la asseconderà nel suo egoismo, tentando di tenerla prigioniera dentro il cerchio magico dei suoi occhi e della sua voce. In realtà speriamo che, riuscendo a controllare lui, saremo in grado di controllare anche i nostri sentimenti, i nostri traumi infantili e risolverli. Ma, naturalmente, più ci sforziamo di controllare e meno riusciamo a farlo.