Non appena lo sciocco assessore cittadino all’ambiente annunciava alla stampa che aveva perfezionato il procedimento con l’associazione Difendere la Vita con Maria per “ fornire un più completo servizio” alle donne, abbiamo capito subito di cosa stava parlando.
Come già accaduto nel passato le associazioni integraliste cattoliche ritornavano alla carica, con la nuova giunta, con il cimitero dei residui abortivi e la loro propaganda antiabortista.
Il nostro doveroso passo, in difesa dei diritti della donna, è stato reperire informazioni, studiare la legge e agire. Così scopriamo le delibere ASL e il protocollo d’intesa con Difendere la vita con Maria e le determinazioni comunali di cessione di un’area del cimitero all’associazione.
Tutta la materia è regolata dalla legge 285/92 di Polizia mortuaria e, nonostante l’associazione Difendere la vita con Maria, fornisca pareri legali “Ad Usum Delphini” la legge 285 non prevede nessuna sepoltura collettiva né dei feti né dei residui abortivi.
Adesso che in tutta Italia è scoppiato lo scandalo dei cimiteri con il nome delle donne che hanno abortito scritto sulle croci e sui cippi, la nostra lotta e le nostre proteste assumono il loro giusto valore: non eravamo delle pazze estremiste ad opporci a questo provvedimento.
Perché il problema, seppur gravissimo, della violazione del diritto alla riservatezza garantito dall’art. 21 della 194 che punisce penalmente chi rivela il nome della donna che abortisce, non è solo questo.
Il problema non è solo la violazione della riservatezza e il mancato consenso dato dalla donna, il problema è che NON DEVONO ESISTERE QUESTI CIMITERI: non c’è nessuna legge che li consente.
La donna che desidera seppellire i resti del suo raschiamento o il feto di una gravidanza non portata a termine, lo può seppellire personalmente e privatamente. Altrimenti, come dice la legge, per le gestazioni sotto le 20 settimane la ASL provvede all’incenerimento e per i feti sopra le 20 settimane il Comune provvede al seppellimento in forma anonima.
Immaginiamo un letto d’ospedale dove la donna ha appena interrotto una gravidanza, volontariamente o spontaneamente, o perduto un feto oltre le 20 settimane di gestazione. Chi la informa , chi le chiede il consenso di cedere i suoi resti biologici ad una associazione privata ? Sono gli stessi membri dell’ associazione che si aggirano tra le corsie in attesa di prendere possesso della “materia prima”? Chi li ha informati che c’erano donne che erano sottoposte a intervento? In questo caso gravissime sarebbero le responsabilità della dirigenza sanitaria e del direttore dell’ospedale.
Se invece fosse il personale di corsia a informare le donne dell’esistenza di un’associazione che vuole i suoi resti abortivi, a che titolo lo farebbe? E le RSU aziendali non hanno niente da dire su questo?
Il dubbio che abbiamo è se sia possibile che funzionari pubblici abbiano così scarsa conoscenza della legge da poter incorrere anche in sanzioni penali, come è il caso dei cimiteri con i nomi delle donne. Piuttosto pensiamo che la pressione di associazioni confessionali antiabortiste, la complicità interna alle istituzioni dello Stato, la “distrazione” dei partiti progressisti, il distogliere lo sguardo delle RSU sindacali d’azienda, l’opinione pubblica assuefatta all’aggressività di forze reazionarie, laiche e religiose, con addentellati internazionali, abbiano potuto permettere questo medioevo: l’ apporre il marchio dell’infamia sulla donna , lo stigma della sua corruzione morale, suscitare il senso di colpa per l’abbandono di quello che essi considerano vita cosciente fin dal concepimento e che il legislatore ha stabilito diversamente.
A Civitavecchia abbiamo combattuto in giusta battaglia e abbiamo costretto la ASL a ritirare delibera e Protocollo d’intesa. Il comune di Civitavecchia e il suo sciocco assessore all’ambiente non ci hanno neanche mai risposto.
Le donne in difesa della 194