Dopo oltre due mesi di forzata reclusione per emergenza sanitaria si prova a ripartire e a ritrovare le consuete abitudini sociali nonché lavorative. E’ ancora vivo in noi il ricordo della straordinaria prova di coraggio, abnegazione e disciplina che la popolazione ha offerto in questa dolorosa occasione, tanto che gli encomiabili comportamenti collettivi ci permettono di confermare, e dichiarare senza tema di smentita, di essere per l’appunto l’italiana “brava gente”.

Ma la cosiddetta ripartenza di questi ultimi giorni si sta rivelando anche, come dovrebbe essere, una vera ricostruzione ? Non sembra, soprattutto se si considera che il complesso dei provvedimenti presi dagli uomini di governo sono spalmati su troppi fronti e frenati dalla burocrazia, e pur di sovvenire alle tante e pressanti esigenze del Paese paiono non dare il decisivo sostegno alla soluzione dei problemi connessi alla rinascita delle piccole e medie imprese – che sono poi  i veri motori della ripresa – né possedere un’idea ben delineata del domani economico. Un domani che in ogni caso si preannuncia pieno di incognite e di complicate difficoltà. Guardando al di là dei nostri confini, lo spettacolo non ci conforta:  l’Europa è ancora visibilmente divisa e frammentata da una bassa politica nazionalista. E sebbene il vecchio continente, per effetto di questa gigantesca crisi economica che lo investe, rischi di restare schiacciato tra Stati Uniti e Cina nella seconda guerra fredda in atto tra le due superpotenze, Bruxelles si limita ad attivarsi più che altro nelle coperture finanziarie e nei supporti assistenziali, che sono misure certamente utili ma non sufficienti. Non avverte ancora la necessità di cambiare le regole del gioco avviando finalmente un vasto piano di rilancio dell’economia europea dotato di  adeguati investimenti e contributi a fondo perduto, muovendosi in una logica di sviluppo delle varie realtà nazionali, che dal canto loro dovrebbero rivelare non altro che intenzioni di concordia e unità d’intenti.

Tornando dentro i nostri confini, inopportune sono anche le beghe di un’Italia a sua volta indaffarata a particolarismi e scelte per lo più casuali, volte a discutere di uomini e a tratti di eventuali elezioni, vuoi paventando vuoi sperando nella caduta del governo centrale.  Qui basterà accennare al pianeta scuola, su cui si decide inesorabilmente il futuro di qualunque popolo o organizzazione umana. Le decisioni in tale ambito sembrano al momento propendere per un uso non soltanto marginale del sistema virtuale o da remoto, che cozzerebbe inesorabilmente contro la più accreditata e strutturalmente fondamentale necessità della ineludibile relazione interumana e in particolare docenti–alunni e alunni-alunni che non solo migliora l’apprendimento ma soprattutto forma l’uomo del domani. Se la pandemia deve adoperarsi come un’opportunità riteniamo che debba essere un’opportunità per evidenziare finalmente il limite congenito del sistema virtuale e favorire piuttosto e necessariamente la ripresa di stabili e rinnovate e più ricche relazioni interumane. In definitiva, si prescriva o si regoli  l’opportuno e necessario distanziamento fisico ma si impedisca sempre qualunque distanziamento sociale, perché la relazione sociale tra gli uomini è assolutamente ineludibile e da favorirsi in ogni circostanza.

Il  presidente

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