Giancarlo Giudice Il Camionista detto “Il Mostro Di Torino” (4^ parte)
(segue dall’edizione precedente)
Anche Luigi Chiatti, detto “Il mostro di Foligno”, visse una infanzia difficile, che potrebbe indurre a trovare una giustificazione analoga delle sue azioni criminali. Abbandonato poco dopo la sua nascita, fu rinchiuso sino all’età di sei anni, in un brefotrofio di Narni, per poi essere adottato dal medico Ermanno Chiatti e dalla moglie Giacoma Ponti, uccidendo poi in età adulta, due innocenti bambini. Ma, di contro, nello stesso brefotrofio, come in altri istituti del genere, tanti altri bambini abbandonati, hanno vissuto le stesse sofferenze, ma, senza che però in età adulta, abbiano poi mostrato pulsioni ed atteggiamenti simili. Dimostrando di contro, di aver vissuto una vita normale, ponendo quindi seri dubbi sull’ipotesi dell’incidenza caratteriale in età adulta, dovuta alle difficoltà ed alle sofferenze incontrate nella prima infanzia.
L’abuso di sostanze alcoliche ed i frequenti stati di ubriachezza, l’uso di droghe eccitanti e stimolanti, possono certo avere avuto un ruolo non marginale nell’attività criminale di Giancarlo Giudice, comunque, certamente da non sottovalutare.
L’agire di Giudice, può essere ricondotto al genere di criminali seriali così detti Visionari/allucinati, tanto che ebbe modo di asserire che durante i suoi omicidi avrebbe udito delle voci, confermando a tal proposito la possibilità dell’esistenza di disturbi mentali di una certa rilevanza, come ad esempio potrebbe essere nel caso della malattia schizofrenica.
Ma il suo agire, può senz’altro essere ricondotto anche al genere “missionari” e cioè a coloro, che sono mossi, da una vera e propria missione, che è quella di ripulire la società da una determinata categoria di persone, come nel caso di specie, quella delle prostitute.
Appartenendo probabilmente anche al genere “Motivati da guadagno”, visto che era sua consuetudine rapinare e ripulire di ogni bene le sue vittime.
Non mancano secondo me, anche le motivazioni dovute al genere “Edonistici” e “Dominatori”, i quali primi, uccidono con il solo scopo di provare piacere, amando la “caccia” più che l’omicidio in sé; mentre altri usano torturare e violentare le loro vittime mossi da sadismo. Trovando da questi atti, anche piacere di natura sessuale: non a caso subito dopo aver compiuto l’ultimo omicidio, si stava eccitando, tramite autoerotismo. Mentre i secondi, esercitano potere sulle loro vittime al fine di contribuire al rafforzamento della propria autostima, intesa come forza fisica e mentale, a compensazione di abusi subiti dall’omicida durante l’arco della sua vita.
Insomma, un bel “quadruccio” delle motivazioni che possono aver mosso l’agire del serial killer Giancarlo Giudice. Una serie di ipotesi, che non possono essere certamente smentite; sta di fatto che Giancarlo Giudice, ha ucciso, mostrando mancanza assoluta di empatia, ben nove povere donne, gettandole come sacchi di immondizia nel primo luogo a portata di mano o infierendo sui loro corpi.
Tutto nella speranza, che il suo misterioso e protetto percorso di recupero e reintroduzione nella società civile, possa dare i giusti frutti e che altre donne, non periscano nuovamente sotto i colpi della sua devianza.
In certi casi, non possono non ritornarmi in mente, le teorie basilari di Cesare Lombroso, padre degli studi sulla criminalità, oggi criminologia, e fondatore dell’antropologia criminale, la quale poneva in particolare evidenza, la fisiognomica, il darwinismo sociale e la frenologia, basandosi sul concetto del “criminale per nascita”.
FINE
Dr. Remo Fontana
Criminologo
Vice Comandante Polizia Locale