Grotte di Pinza. A cura di Glauco Stracci-SSC
La biga d’oro del re Tarquinio.
La località nel Comune di Tolfa è afferente al toponimo di Guinzone, parola ritenuta di origine longobarda, fu descritta, senza indicarne il nome, per la prima volta da Gamurrini nel 1882, mentre nel 1942 è il Bastianelli che la indica col nome locale di Grotte di Pinza. Si tratta di un piccolo altipiano tufaceo, a marcata orografia, con tre lati a strapiombo circondati dal fiume Mignone, tipologie che localmente sono denominate castelline. La frequentazione è attestata partendo dal Neolitico. In età Ellenistica vi sorge un insediamento etrusco, fortificato durante le guerre tra Tarquinia e Roma. Secondo il Bastianelli queste castelline lungo il fiume potevano essere i septem pagi ricordati da Plinio il Vecchio, mentre il Cola vi aggiunse la menzione dei novem pagi di Tito Livio. Restano evidenti gli intagli nel tufo, per rendere meglio difendibile l’unico lato accessibile al pianoro. Emergono terrazzamenti livellati, tramite l’impiego di grandi blocchi giustapposti a secco, e il lungo muro perimetrale esterno, costruito a doppia cortina, con blocchi tufacei, e un riempimento interno di pietrisco. Nell’area interna sono presenti tre tombe ad arcosolio, una cisterna, forse opera romana, e un cunicolo volto al drenaggio idraulico, inoltre sono da menzionare quattro ambienti ipogei, scavati nella parete settentrionale del banco di tufo, che danno il sopracitato toponimo locale. Probabilmente gli ipogei sono nuovi artefatti o modifiche di antecedenti ambienti etruschi, usati in epoca medioevale, infatti un documento del 1299, menziona una tenuta denominata criptam Pincani ceduta a Viterbo, insieme al vicino Monte Monastero. La presenza sparsa, sul pianoro, di ceramica a vernice nera e sigillata, attesta la presenza di una villa rustica in epoca romana almeno fino al IV secolo. L’ utilizzo di queste cavità artificiali usate dalla pastrorizia nel secolo trascorso, ha fatto insorgere molte storie leggendarie, entrate nel vivido folclore tolfetano, la più famosa è quella secondo la quale nelle Grotte di Pinza, il re Tarquinio, quale dei tanti Tarquini non lo sapremo mai, vi volle nascondere un tesoro, composto da una carrozza e una biga d’oro.
STRACCI- SSC