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Prima dell’arresto, nella sua mente, sarebbe stata in programma una pausa dei delitti, consentendo  per così dire, una tregua a Genova, per poi tornare ad uccidere, sempre a suo dire, questa volta con l’intenzione di ammazzare i proprietari delle case da gioco ed in alternativa, sperando di essere coinvolto in un conflitto a fuoco ed essere ucciso dalla polizia, in quanto pur avendoci pensato tante volte, non avrebbe mai avuto il coraggio di farla finita con la sua vita suicidandosi.

Arresto che, a causa dell’indubbia carenza delle indagini, dovuta come detto, probabilmente anche alla imprevedibilità del criminale, sarebbe potuto forse avvenire molto tempo prima, rappresentando in tale senso, a parere di molti, un manifesto insuccesso investigativo.

Il 13 maggio del 1999, ha inizio il primo processo a suo carico: avendo già confessato, lui decide di non essere presente all’udienza.

Il suo Q.I., come molto spesso è stato riscontrato in questo genere di individui, è sopra la media: 120. Accusa, difesa, periti e consulenti vari, si scontrano tra di loro per stabilire se al momento della commissione dei suoi crimini, Bilancia, fosse o meno in possesso della totale capacità di intendere e di volere, come tutti sappiamo, necessaria, anzi fondamentale, ad imputare la responsabilità di un crimine al suo autore.

Il dibattito tra le parti, analogamente ad altri casi, come ad esempio, quello di Gianfranco Stevanin, è serrato ed acceso, a tratti aspro, in quanto i periti dell’accusa, pur ammettendo un disturbo del comportamento, affermano che lo stesso “non ha inciso sulla capacità di intendere la realtà dei delitti che andava consumando.” Mentre la difesa, tramite i suoi consulenti, evidenzia l’infanzia difficile subita dal suo assistito, la morte del fratello, a cui sarebbe stato molto legato e gli incidenti subiti, che avrebbero minato l’integrità fisica e mentale del Bilancia. In proposito, Di Marco e Canepa, affermano: “la capacità di intendere era gravemente lesa, inficiata, come dimostra la sproporzione totale tra causa ed effetto fin dai primi omicidi. Però quello che importa è che la capacità di volere lo era totalmente”.

Ma i periti della corte, il professor Fornari, il professor Ponti e il dottor Mongoli, sono di tutt’altro avviso e determinano con la loro perizia, le sorti definitive del criminale: “Siamo giunti alla conclusione che Bilancia era al momento dei fatti, come nell’attualità, pienamente capace di intendere e di volere.”   

La corte d’Assise, con la sua lunga, articolata e dettagliata sentenza, confermata poco tempo dopo sia in Appello che in Cassazione, dichiara colpevole dei delitti Donato Bilancia, condannandolo a 13 ergastoli per 17 omicidi e a 16 anni di reclusione per il tentato omicidio di Lorena Castro e porto abusivo di armi, più l’isolamento diurno per tre anni.

Detenuto nella prigione di Padova, ha avuto numerosissimi incontri anche con il neuro-psichiatra Vittorino Andreoli, al quale ha raccontato ogni particolare della sua vita e delle sue vicende, delle sue debolezze e della sua personalità, che definiva B1 e B2. Affermando che, quando la seconda, cioè B2, ha preso definitivamente il sopravvento sulla prima, che sarebbe stata quella che lo portava a subire senza reagire, allora, proprio in quel momento, avrebbe iniziato ad uccidere senza alcun freno e senza alcuna empatia nei confronti delle sue vittime.

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