(continua dall’edizione precedente)
Per quanto concerne il suo carattere, la totalità di quanto riportato dagli scritti degli storici, lo hanno definito “un pazzo dotato di una straordinaria follia sanguinaria”.
Fu già dalla sua giovanissima età, che Caligola, iniziò a mostrare un particolare piacere, con mancanza assoluta di empatia, nell’assistere a martiri, sevizie ed esecuzioni capitali, che poi, da imperatore lo condussero ad affermare, con distacco e freddezza inaudite, che “l’esecuzione dona conforto e libertà… si muore perché si è colpevoli, Si è colpevoli perché si è sudditi di Caligola…Quindi tutti devono morire. E’ solo questione di tempo e di pazienza”.
Il filosofo, drammaturgo e politico romano, Lucio Anneo Seneca, condannato a morte da Caligola e poi graziato, chissà se proprio per quanto di seguito scritto, ebbe a dire di Caligola: “Non si troverà di certo nessun altro che abbia infierito tanto atrocemente verso coloro che stavano per morire.”
Ho avuto modo di studiare le avvelenatrici di Roma e Locusta, le prime un gruppo di cortigiane vissute circa 300 anni prima della nascita di Cristo e la seconda, una schiava gallica, resa potente da Nerone, per i servigi che gli rese, nata nei primi decenni del I secolo d.C.. Tutte dedite alla sapiente, sottile e subdola, arte dei veleni. In particolare per quanto riguarda Locusta, avvelenando durante un banchetto, il giorno prima del compimento del suo 14° compleanno, Tiberio Cesare Claudio Britannico, figlio dell’Imperatore Claudio, il quale aveva posto un quesito di illegittimità al trono dello stesso Nerone.
Perchè rammento questo? Semplicemente perché in quegli anni, come anche in quelli a venire, sia nelle corti dell’Impero romano, che generalmente in quelle di ogni altro tipo di regno, gli intrighi, i complotti e le congiure, finalizzati in particolare alla destituzione ed uccisione del potente o del regnante di turno, per prenderne il suo posto ed acquistare il potere, sono sempre stati all’ordine del giorno.
La vita di Caligola, non ne fu esente. Un giovane patrizio, che presentava evidenti patologie psico-fisiche, rimasto ben presto orfano dei suoi genitori, discendente da una famiglia tormentata e vessata, i cui fratelli furono anche loro assassinati proprio a causa di quei motivi cui ho fatto cenno poc’anzi, mentre una delle sorelle, decedette in giovane età a causa di una malattia.
Fu su proposta del Prefetto Pretorio Macrone, con l’avallo del senato ed anche del popolo, che alla morte di Tiberio, qualcuno riporta che quest’ultimo sarebbe stato ucciso proprio per mano di Caligola, che lo avrebbe soffocato con un cuscino, il 16 marzo del 37 d.C., venne incoronato Imperatore. Il viaggio di ritorno verso Roma, fu un vero e proprio trionfo, tra le schiere di folla inneggianti, festanti, gioiose e colme di aspettative, che lo accompagnarono ai bordi delle strade, durante tutto il suo viaggio sino alla Urbe e che durante il suo passaggio lo appellarono simpaticamente con soprannomi quali, “pupo”, “pulcino”, “stella” e “bambino”.
Fu il terzo imperatore romano facente parte della dinastia Giulio-Claudia. Per il popolo romano si stava presentando una vera e propria occasione di liberazione e rinascita, in quanto il governo dell’Imperatore Tiberio, anche a causa dei pessimi rapporti avuti con tutta la comunità, il senato ed i militari, era stato contraddistinto da una vera e propria tirannia, durata circa ventitre anni.
(continua nella prossima edizione)