Dopo una brevissima pausa dovuta ad impegni di studio e lavoro, eccomi di nuovo tra di voi. I serial killer del passato stanno stuzzicando sempre di più la mia curiosità e durante le mie ricerche, ho trovato tracce di assassini seriali in tempi molto lontani, sarebbero i primi, o le prime per meglio dire perché donne, che la storia e la leggenda annovera tra le sue pagine, seppur con limitate notizie. Si tratta delle “avvelenatrici romane”, una gruppo di spietate cortigiane, che ben conoscendo l’arte dell’uso dei veleni, uccidevano inesorabilmente le loro vittime. Precorritrici di molte altre donne, che soprattutto nell’epoca rinascimentale hanno fatto dei veleni, il loro silenzioso e rapido strumento di morte per togliersi di torno mariti infedeli e prepotenti o semplicemente, per combattere e dare un tono di “emozione” alla quotidiana e noiosa vita di corte. I primi casi di avvelenamenti riportati dalla storia, risalirebbero infatti al 331 a.C., quando molti influenti personaggi della Roma dell’epoca, perirono a seguito di una sorta di epidemia, definita quanto mai strana ed anomala. Roma era sotto il consolato di Claudio Valerio e Valerio Potino. L’edile curale, (magistrato civico patrizio), Quinto Fabio Massimo, ricevette una denuncia da parte di una schiava in cambio di protezione, mettendolo al corrente, che gli strani decessi, non sarebbero stati la conseguenza di una malattia, ma bensì dovuti ad alcune nobildonne che, preparando e somministrando pozioni velenosissime, uccidevano senz alcuna empatia i loro mariti ed amanti. All’epoca non era certo facile, per non dire impossibile, stabilire che le morti erano avvenute a seguito della somministrazione di sostanze venefiche e venivano per questo attribuite per l’appunto, almeno prima di questa segnalazione, a malattie, fattori epidemici e/o comunque naturali. Apro una parentisi, poiché i fatti sopra narrati, mi riportano alla mente gli omicidi di nobili personaggi, commessi ai tempi del Consiglio dei Dieci e dei Tre Inquisitori dello Stato. Siamo nella Repubblica di Venezia, nel periodo compreso tra il 697 ed il 1797, quando i membri del Consiglio, decidevano di uccidere un nobile o comunque una personalità di spicco ritenuta da essi scomoda, (e, non era cosa rara), ma di far passare la sua morte come un evento naturale, entrava in gioco il c.d. “Orafo del Consiglio dei Dieci”. Una palese uccisione, avrebbe destabilizzato e creato problemi politici e diplomatici al governo della Serenissima, allora, ecco l’uso della polvere di diamante fornita dall’Orafo. La finissima polvere veniva abilmente mescolata nel pasto della vittima predestinata, una volta ingerita ed iniziato il processo di digestione e dopo aver raggiunto il fegato, provocava in questo delle micro-lesioni e conseguenti emorragie interne, che divenivano letali per la persona che le aveva assunte, conducendolo a morte certa, fungendo di fatto come un potentissimo veleno.
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