Naturalmente, il decesso veniva attribuito a cause naturali e comunque all’epoca impossibili da spiegare e l’episodio, rimaneva pertanto nel completo silenzio e nell’impunità più assoluta, non destando per questo conflitti o incidenti nella politica del Doge. Ma, torniamo alle avvelenatrici di Roma. Dopo la segnalazione della schiava, il magistrato ordinò alcune ispezioni nelle dimore di molte patrizie, si narra fossero almeno 170 donne e che furono arrestate per il rinvenimento di alcune sostanze velenose conservate tra le mura domestiche. Tra le fermate, due signore, Cornelia e Sergia, che tentarono di giustificare il ritrovamento di alcune sostanze, asserendo che le ampolle, avrebbero contenuto solamente dei medicinali. Le due nobili, furono sfidate innanzi alle milizie dalla schiava che aveva sporto denuncia a bere le sostanze contenute nelle bottigliette in quanto medicinali, le quali accettarono morendo in poco tempo tra atroci dolori e stenti, anche se molte avvelenatrici, avevano imparato l’arte di assumere giornalmente piccolissime quantità dei loro veleni, in modo tale da raggiungere l’immunità dalla tossina stessa, usanza questa, poi molto utilizzata successivamente nella storia da nobili e governanti vari. Come sempre, essendo trascorsi oltre 2300 anni, il tutto è stato tramandato di padre in figlio, e nel caso specifico, anche dal narratore Tito Livio, il quale tra l’altro pone dubbi sul fatto che le due patrizie bevvero effettivamente la pozione risultata loro fatale, per il fatto che ben avrebbero dovuto conoscere gli effetti che la stessa avrebbe avuto su di loro, avvolgendo la vicenda in un intrigato mistero, che ha tuttavia coinvolto numerosi personaggi di spicco dell’antica Urbis.
Ma, la storia continua. Ed eccoci arrivati al primo secolo, quando in Gallia nacque Locusta, definita la serial killer dei tempi di Nerone: ancora una donna, ancora l’utilizzo dell’arte dei veleni per uccidere. La sua vita di campagna e la vicinanza alle essenze arboree e la passione per esse, contribuirà a farle conoscere le loro proprietà, che come tutti certamente sappiamo, possono essere curative e benefiche, ma altrettanto dannose a seconda dei casi. A differenza di Cornelia e Sergia, che forse sono rimaste vittime del loro stesso veleno, sembra che Locusta, sperimentasse su di lei in piccole dosi ogni genere di veleno estratto dalle sue piante, in modo tale da rimanerne completamente immunizzata.