IL LAVORO A DISTANZA SECONDO IL TRITTICO
Come tutti possono constatare, il lavoro a distanza ha fortemente accelerato, anche per via del Covid 19, la sua diffusione. Interessa ormai milioni e milioni di lavoratori del settore privato e pubblico, provocando molteplici conseguenze, alcune delle quali sono state testimoniate – come si ricorderà – proprio dai due dipendenti da noi interpellati. Il fatto che la prestazione non avvenga più nella sede dell’azienda o dell’ente, ma in un altro luogo, rappresenta indubbiamente una novità assoluta che non può certo essere accomunata al faticoso lavoro domiciliare che veniva commissionato secoli fa da molte aziende tessili dell’Italia del nord.
Diciamo subito che al momento la soddisfazione dei datori di lavoro e dei dipendenti non manca, per i vantaggi che ambedue ne ricavano; mentre sono decisamente preoccupanti le prospettive.
L’intero ambito datoriale è soggetto a un radicale processo di cambiamento che investe anche i dipendenti, la cui capacità di adeguamento è però già adesso ampiamente sopravanzata da quella dei datori di lavoro. Che peraltro stanno cogliendo l’occasione per massimizzare i profitti e risparmiare sulle spese del personale. Inoltre, il da remoto rappresenta pure la modalità con cui la parte datoriale esercita il controllo sui lavoratori (bypassando il divieto posto dallo statuto dei lavoratori) senza che tra di loro possa instaurarsi un rapporto vero, di carattere personale. Sono alcuni dei punti su cui convergono le critiche di tanti lavoratori. Ad esse fa seguito il rischio che la maggiore produttività dei prestatori di lavoro induca le imprese e rilevare un surplus di addetti, e a orientarsi verso alleggerimenti delle dotazioni di lavoratori, soprattutto se privi di qualifica o con mansioni meramente esecutive. Preannunciando una deriva decisamente utilitaristica dell’assetto del lavoro, non adeguatamente compensata dalla tenuta o dall’esiguo incremento di posti ad alta qualificazione.
E infatti la profezia de il futuro senza lavoro è una predizione sicuramente attendibile delle possibili conseguenze sociali e occupazionali dell’era digitale. Poco possono valere, quando un andamento del genere si consolida, gli interventi del sindacato a difesa dei posti di lavoro, anche perché, per effetto degli intrecci proprietari, è sempre più difficile individuare in sede di relazioni sindacali quale sia con sicurezza la controparte. La cosiddetta quarta rivoluzione organizzativa tecnologica prospetta quindi indubbi pericoli di sostituzione di un lavoro sicuro e stabile con uno incerto e precario. Il discorso non può limitarsi a ciò, ma ci porta più lontano. Deve semplicemente trovarci lucidi e vigilanti.
Una digitalizzazione con questi connotati, sicuramente non invocata dalle popolazioni, non risolve i problemi dell’umanità. Devono convincersene gli stati, i quali non possono rinunciare al dovere di porre un freno alle speculazioni dei grossi gruppi finanziari e dirigere l’innovazione verso obiettivi più umani conferendo una diversa strutturazione al mercato del lavoro.
Il presidente