(continua dall’edione precedente)
Spesso, pazienti che hanno subito traumi al piede (in particolar modo al calcagno) e caviglia si ritrovano con un piede cavo post traumatico: lamentano una riduzione del movimento delle loro articolazioni e una sensazione di asimmetria, confermata da un disarmonico consumo delle calzature, oppure accusano un dolore presente sia durante il passo che a riposo. I traumi che più tipicamente possono portare a sviluppare un piede cavo post traumatico sono traumi che coinvolgano l’articolazione sottoastragalica e calcaneare. Si tratta di casi molto complessi nei quali però non bisogna focalizzarsi solo sulla deformità del piede, ma indagare con attenzione anche l’articolazione sovrastante: la caviglia. Non è raro in questi pazienti riscontrare in associazione al piede cavo post traumatico anche un’artrosi di caviglia post traumatica. In questi pazienti la deformità si manifesterà in varismo sia per il retropiede che per la caviglia.
Il piede cavo è una deformità che può presentarsi secondo svariate forme e con sintomatologia differente secondo la gravità del quadro. I sintomi lamentati dai pazienti posso essere legati all’avampiede e quindi alla griffe delle dita che urtando dorsalmente contro la scarpa possono arrivare ad ulcerarsi, o ancora ad una ipercheratosi plantare causata dalla flessione plantare del primo metatarso. Inoltre a causa della supinazione del piede e al conseguente sovraccarico del V metatarso possiamo ritrovare anche a questo livello, una importante ipercheratosi, ovvero un callo, che è la prima difesa dell’organismo di fronte ad una sollecitazione impropria causata dal piede cavo. I problemi principali si verificano, però, a livello di retropiede e caviglia, dove la deformità è sinonimo di alterazioni dei carichi e conseguente rischio di instabilità (instabilità peritalare). I pazienti in questi casi lamentano dolore all’interno della caviglia fino ad arrivare alla sensazione di instabilità, cedimenti e traumi distorsivi ripetuti alla caviglia.
La cura del piede cavo varia a seconda delle cause scatenanti, della presenza e gravità dei sintomi e del grado di cavismo. Si può ricorrere ad una terapia conservativa e chirurgica.
La terapia conservativa, indicata dallo specialista, prevede esercizi fisiochinesioterapici, che hanno come obiettivo l’allungamento della muscolatura plantare; La soluzione ortesica, prevede l’utilizzo di appositi plantari, realizzati su misura del paziente.
Per la realizzazione dell’ortesi, sarà fondamentale effettuare un esame clinico, radiografico e dell’appoggio del paziente.
Il trattamento chirurgico viene preso in considerazione nei casi in cui la terapia conservativa risulti inefficace o non ha fornito i risultati sperati, e la sintomatologia è molto intensa. Esistono tre tipologie di intervento chirurgico:
- Le operazioni riservate ai tessuti molli, quali ad esempio l’allungamento del tendine d’Achille, la distensione chirurgica della fascia plantare e i trasferimenti tendinei.
- Le operazioni di osteotomia, che consistono nelle asportazioni ossee, e nell’intento di ridurre le deformità.
- Le operazioni di artrodesi, per la stabilizzazione articolare.
La scelta del tipo d’intervento chirurgico spetta, ovviamente, al chirurgo curante e dipende dalla natura della deformità.
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