IL TRITTICO: “IL VIRUS NON SI COMBATTE CON LA CHIUSURA AD OLTRANZA”
Da un anno a questa parte i cittadini si trovano coinvolti in una complessa e dura realtà tutta incentrata sul pericolo Covid. In questa situazione i provvedimenti dell’esecutivo, suggeriti dall’ossessione per il breve termine e dalle valutazioni sanitarie Iss e Cts, si susseguono in tempi sempre più ristretti. Determinati a contenere l’infezione con la chiusura e l’immobilità, caricano di restrizioni umane, sociali ed economiche i territori, e vanno ad inasprire i già rigidi e contestati criteri dell’algoritmo dei colori. I cittadini, avviliti e impoveriti, premuti dalla minaccia di pesanti sanzioni e richiamati al senso di responsabilità, non possono che ubbidire, pensando preoccupati al domani, quando saranno finiti i ristori e la cassa integrazione. Per intanto continuano a chiudere negozi e attività varie, facendo contrarre interi settori dell’economia, rinunciano a riunioni, incontri, manifestazioni, viaggi, teatro, cinema, palestra ecc. Scivolando verso il fermo totale. E si vedono persino costretti a rifiutare l’evidenza per attingere alla verità ufficiale dei bollettini televisivi, che forniscono dati allarmanti che riguardano la circolazione del virus, i focolai, le curve, i picchi e le ondate, e che propongono improbabili interviste e raffronti di dati. Ritengono poi inaccettabile il fatto che lo stesso governo che ha emanato i provvedimenti, pur denunciandone ogni volta l’inefficacia, ne disponga il prolungamento e l’inasprimento. Tutto ciò in attesa di una larga somministrazione del vaccino, che però richiederà dei mesi. E non è detto che metterà la parola fine a questa storia. E poiché siamo destinati a convivere ancora a lungo con il virus non possiamo assolutamente continuare su questa strada: è nostra ferma convinzione che sia urgente l’emanazione di misure appropriate e che siano finalmente sostenibili.
Alla luce di ciò, noi riteniamo che decisioni che stanno impattando così pesantemente sugli amministrati siano da criticare sia per i loro presupposti che per il modo in cui sono articolate. Giacché, come abbiamo visto, intervengono esclusivamente sulla natura fisica dell’uomo, quando invece la sua salute si compone di benessere fisico, mentale e sociale. E naturalmente di attività economica e lavorativa. Concetti che si traducono tutti in diritti irrinunciabili, non a caso riconosciuti dalla carta costituzionale. Per cui, se il governo, nell’evenienza di cui parliamo, avesse avvertito la necessità – come in effetti è accaduto – di attingere lumi da specialisti di specifiche discipline e di inserirli in modo organico nelle procedure decisionali, avrebbe dovuto guardare non solo alla medicina ma anche alla sociologia, psicologia, psichiatria ed economia. In maniera da poter valutare le ricadute di ciascuna decisione anticovid anche sui rapporti sociali, sulla vita affettiva e mentale dei cittadini e sull’attività economica. Se avesse seguito un criterio del genere avrebbe sicuramente messo a punto provvedimenti provvisti di un più equilibrato rapporto costi-benefici, e validi anche in una prospettiva postcovid. Infatti, sulla condizione psicologica delle persone, specie se anziane, gli effetti dei decreti sono stati gravosi, spesso insopportabili per la carenza di contatti sociali. Nell’attività economica, hanno fatto addirittura venire meno le pre-condizioni del suo esercizio, che sono la libertà, la fiducia, la voglia d’intrapresa, le prospettive di ampliamento, di innovazione e sviluppo e simili. E che obbediscono a una logica che non tollera certo l’imposizione delle vigenti limitazioni, rivelatesi peraltro improduttive.
Il presidente