Nel precedente articolo ho citato la splendida pagina sull’amicizia scritta da Antoine de Saint-Exupéry nel suo racconto “Il Piccolo Principe” in cui si parla di addomesticarsi, di creare riti e di sentire e vivere la vita e i rapporti con il cuore. Questi concetti sono veri e semplici, ma forse dimenticati o sottovalutati. Sin dalla notte dei tempi l’uomo ha dato vita a rituali, cerimonie, drammaturgie per addomesticare se stesso e gli altri al senso del sacro. In principio si adoravano i fenomeni e gli elementi naturali come il fulmine, il sole, il fuoco, ecc. Poi, con l’evoluzione, esseri superiori e intelligenti antropomorfi per arrivare all’astrazione pura del deus absconditus che crea ex nihilo, il Dio unico e trascendente che porta in essere il tutto dal nulla. Oggi si parla di fede in un ente supremo inconoscibile e invisibile che opera secondo la categoria del mistero. Sono tempi simbolici e fortemente astratti che indicano una potente evoluzione del pensiero umano dall’adorazione del fulmine al Dio immanente e trascendente di oggi. Ma la relazione è rimasta immutata. Si sono evoluti il pensiero e la Divinità, ma non la relazione. Allora come oggi per creare una relazione, per stipulare un’alleanza e fondare un legame o un’appartenenza c’è bisogno di creare dei riti e di interpretare una drammaturgia. Pensiamo alla liturgia delle religioni, alle cerimonie, alle parate militari, alle celebrazioni delle feste, al Natale, ai compleanni, al matrimonio, al battesimo e al funerale. Riti, drammaturgie accompagnate da canti, musiche, incensi, arredamenti e abiti particolari e ognuno, rivestendo il suo ruolo e stando al suo posto, partecipa con gesti, parole, segni. Tutto questo concorre a spostare la coscienza da un piano pratico e ordinario ad un piano astratto, simbolico e straordinario, fuori dal comune e dal tempo, ci proietta su significati archetipici inconsci dell’essere e ci suscita il senso del sacro. Il rito, infatti, è il complesso di norme che regolano le cerimonie di un culto. Seguire, osservare un rito indica il modo e l’ordine con cui si compie una funzione sacra. È dunque chiaro che il rito nulla ha a che fare con l’abitudine! Il ripetere le cose in automatico e l’essere guidati da schemi non suscita il senso del sacro e non crea legami, anzi, li mortifica fino a spezzarli in conseguenza della noia. L’abitudine è mortale per la coscienza e per i rapporti! Invece, il rendere sacra la relazione attraverso dei rituali, è un balsamo per l’anima. L’abitudine è passività e noia, il rito è un’azione sacra e creativa. Pensiamo al gioco dei bambini. Loro ripetono spesso gli stessi giochi anche cento volte e vogliono sentirsi raccontare cento volte la stessa storia prima di addormentarsi. Ma per il bambino ogni volta è la prima volta, è sempre una storia nuova che vivono in prima persona, si emozionano ogni volta. La magia del gioco! Quanto andrebbero meglio le famiglie e le coppie di adulti se giocassero di più, se costruissero dei riti e sacralizzassero il tempo e il luogo del loro incontro. É questo il senso nascosto, l’intuizione della verità, l’attribuzione di significato alle nostre vite, alle nostre relazioni e il segreto che la Volpe confida al Piccolo Principe: l’amicizia, l’amore, l’appartenenza sono dimensioni creative e sacre che richiedono un reciproco addomesticarsi secondo dei rituali ben precisi, sono esperienze che aprono una comprensione nuova e profonda di noi stessi e degli altri e conferiscono senso e consapevolezza perché, come ci insegna Antoine de Saint-Exupéry, “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
www.alessandrospampinato.com