Testimonianza unica dei Monti della Tolfa.
Situata nel Comune di Allumiere, lungo il Fosso Melledra della Farnesiana, la necropoli si presenta su di una parete tufacea realizzata tramite l’estrazione a banchi, a questa si aggiungono altre cave adiacenti, utilizzate per la costruzione di una fattoria romana del II sec. a.C. , il Sacello medioevale di Santa Severella, gestito dai Padri Agostiniani, e il borgo rinascimentale voluto dai Farnese. La parete comprende una tomba a camera ipogea, trasformata in cisterna, tre loculi e un quarto posto frontalmente su di un piccolo sperone tufaceo. Tale complesso è un classico esempio di quella tipologia definita architettura rupestre, assai problematica nella datazione, poiché distribuita lungo vari periodi storici. Per tale difficoltà, di attribuzione, questo piccolo sepolcreto è stato sempre poco citato dagli studi archeologici, a volte datato, con perplessità, all’età ellenistica e spesso erroneamente interpretato come cava per i motivi sopracitati. Infatti, giusto per capirne la problematica, il modello del loculo rupestre lo ritroviamo partendo dal periodo classico-ellenistico, nell’ arte funeraria etrusca, esempi sono la Tomba Campana di Veio e necropoli di Blera con Norchia. Altri esempi, invece, appartengono all’ età romana, come la necropoli di Cavo degli Zucchi di Via Amerina e Sutri, per terminare infine con il periodo medioevale, basta menzionare San Giovanni a Pollo di Bassano Romano e San Lorenzo di Vignanello. L’ attribuzione resta perciò controversa, perché la tipologia funeraria della Farnesiana si trova a cavallo tra il periodo etrusco e romano, con la tomba ipogea probabilmente etrusca e i loculi utilizzati, o riutilizzati, in epoca romana dagli abitanti della vicina fattoria. Resta incerto un riutilizzo del quarto loculo in epoca medioevale, in quanto presenta una forma ad arcosolio, tipicamente usata già dal VI secolo, come testimonia un reliquiario in legno, conservato presso la Cappella del Sancta Sanctorum in Laterano. La necropoli della Farnesiana presenta quindi vari spunti che, comunque, si riallacciano all’arte rupestre della Tuscia viterbese, nel Patrimonium Beati Petri, e ne rappresenta l’appendice più meridionale, nonché unica testimonianza per il comprensorio tolfetano che la rende quindi di vitale importanza.