La vita è una storia, un racconto di un viaggio. Sin da bambini ci vengono raccontate delle fiabe, delle favole, dei racconti sulla nostra famiglia, su di noi, su come siamo nati, siamo stati desiderati, attesi e accolti. A scuola abbiamo studiato storie sugli autori della letteratura, dell’arte, sull’atomo, sul mondo, sulla natura, sui numeri, sulle forme, sui continenti, sulle civiltà, ecc. quando incontriamo delle persone ci raccontano le loro storie e noi raccontiamo la nostra. Anche il nostro passato, la nostra memoria sono la storia che ci raccontiamo su noi stessi e su quanto ci è accaduto dal nostro punto di vista. E poi i sogni, le fantasie, l’immaginazione. Ci vengono raccontate storie sui significati delle cose e dell’esistenza stessa: le storie su Dio. E così c’è un Dio severo, vendicativo, guerrafondaio, permaloso che punisce con piaghe, malattie e la morte chi viola i suoi comandamenti d’amore; c’è un Dio buono, paterno, misericordioso, intelligentissimo, generoso che ama senza misura, che paga Lui al posto nostro il peso delle nostre colpe e ci perdona e ci salva; c’è un Dio razzista che ama il suo popolo, la sua razza e condanna le altre; c’è un Dio universale e trascendente che non si interessa delle faccende umane ed è tutto preso dalle anime e dagli spiriti; c’è un Dio immanente che è ovunque, in noi, negli animali, nell’albero, nel sasso, nel bicchiere che beviamo, nella polvere e nei minerali; c’è anche un Dio che si è scordato chi è ma che attraverso un percorso può ritrovare la memoria e riconoscersi in noi, uomini-Dio; c’è anche un Dio che non c’è, tutto è frutto di una serie incredibile di coincidenze naturali che hanno portato alla manifestazione della vita così come la conosciamo e una volta che si spegne la luce finisce tutto. Storie, racconti, miti. Sono talmente tanti e tanti sono i punti di vista che verrebbe quasi da dire che potremmo semplicemente scegliere quello che ci piace di più e vivere secondo il nostro sentire. Una storia è solo una storia. Nulla è dimostrabile e confutabile, neanche che la seconda guerra mondiale l’hanno vinta gli americani, perché questo è solo il punto di vista di chi ha scritto questa storia. Basta farsi un giro tra i racconti dei reduci o nelle le biblioteche per leggere tutto un altro racconto. Sono storie quelle sulla famiglia, sulla coppia, sull’amore, sul bene e sul male. C’è chi dice che il bene e il male esistono, c’è chi dice il contrario e ancora che il male, che non esiste, è l’assenza di bene o esiste, ma serve soltanto per mettere in luce ciò che è bene.
Si potrebbe dire che ognuno se la canta e se la suona un po’ come gli pare. In sintesi la nostra vita interiore è costellata di storie che ci sono state raccontate sui significati del mondo e che ci raccontiamo su noi stessi e sugli altri. Ma quanto siamo bravi noi a scrivere e a rappresentare storie? Questi racconti, qualora fossero brutti, scritti male, male interpretati si possono correggere o, meglio ancora, riscrivere? Io proporrei una materia scolastica, teorica e pratica, dalle elementari fino alle superiori, di mitologia e di racconto, dove vengono insegnati i criteri, la struttura, le varie forme del racconto al fine di sviluppare consapevolmente questa meravigliosa capacità della nostra coscienza di rappresentare la vita attraverso delle storie. L’adulto, avendo raggiunto la maturità biologica e psicologica, può capire questo ragionamento e la relatività del tutto e iniziare a lavorare interiormente e secondo coscienza per rendere la propria mente sempre più spoglia, sempre più una pagina bianca su cui riscrivere chi siamo e proseguire a raccontare chi saremo o vorremmo essere. Le storie orientano, definiscono, condizionano e guidano il nostro agire e i nostri sensi. Basti pensare ad una persona sana, dotata di intelligenza, cuore, cultura e capacità che però, poiché si pensa insicuro e incapace, non riesce a fare niente nella sua vita. La mente, i suoi pensieri e le sue immagini impresse si frappongono tra noi e il mondo condizionando la realtà delle cose e di chi siamo. Ma la mente è nostra, siamo noi i padroni e in quanto tali possiamo dirigerla riscrivendo un’altra storia di noi e pensandone una migliore per il nostro futuro. Ci vuole coraggio a lasciare il conosciuto e le abitudini, questo è vero, ma forse ci vuole ancora più coraggio a non farlo quando ciò che riteniamo di sapere ci offende, ci umilia, ci relega al rango di prigionieri.
Forse aveva ragione Gabriele D’Annunzio quando diceva: “Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. ”.