Una villa colonica evoluta.

L’edificio nel Comune di Civitavecchia, prende il nome dall’omonima località che troviamo riportata nella carta topografica militare del 1879. Era una villa rustica, disposta strategicamente sulla sommità di una piccola collina, in parte modellata artificialmente, era così non solo possibile controllare la vallata circostante, ma anche eliminare i problemi di allagamento, dovuti alle piogge. Fu identificata nei primi anni del 1930, dall’ ispettore onorario Salvatore Bastianelli, mentre il primo scavo documentato e sostanziale, per conto dell’allora Soprintendenza all’ Etruria Meridionale, fu diretto dall’ispettore onorario Odoardo Toti, nel 1963, in concomitanza con i lavori per l’ allargamento di una nuova raffineria, mentre un secondo scavo fu effettuato nei primi anni del 2000, con la messa in luce di alcuni ambienti inediti, sempre per conto della Soprintendenza. La struttura originaria, occupava un’area di circa 3000 mq. Del complesso, oggi interrato, una prima parte (ca. 35×25 m) è composta di dodici ambienti, mentre una seconda contigua, di due ambienti circondati da un corridoio angolare (lungo 40 m e largo 2 m), pavimentato in opus signinum. Purtroppo di molti ambienti resta soltanto la fondazione in opus caementicium, che poggia sul duro basamento del flysch tolfetano, per cui non fu possibile l’ identificazione di molte stanze. La fattoria era comunque dotata di una pars rustica, composta di un magazzino e stanze connesse sia al torcular olearium che alla macina per la molitura. Della parte padronale restano alcuni cubicula, la latrina, la culina (cucina), il cui praefurnium era in comune a due balnea, identificati con funzione di caldarium e tepidarium, questi possedevano un pavimento in opus signinum e una parte in opus tessellatum bicromo. La villa rustica ebbe almeno due fasi edilizie, la prima permane negli ambienti con le mura in opus quadratum, realizzate con blocchi a secco pseudo-isodomi di pietra panchina (scaglia), provenienti dal litorale della Frasca, a questa si aggancia, in seconda fase, quella degli ambienti in opus quasi reticulatum. Le ceramiche ritrovate spaziano invece da quella a vernice nera, del tipo Campana B, alla sigillata Aretina, di questa una con bollo circolare, recante inscritto APOLONIUS (CIL, XV, 4991). La continuità abitativa è da inquadrarsi dai primi decenni del II sec. a.C. al I sec. d.C. con appendice il III sec. d.C, è probabile quindi, che sia stata abbandonata in una fase addentrata della romanizzazione del territorio, per lasciare posto alle grandi fattorie su impronta schiavistica. Questa villa di Monna Felice è un significativo esempio di villa rurale di impronta colonica evoluta; era collegata da diverticoli all’Aurelia vetus, in corrispondenza delle positiones di Algae e Rapinium.

G. STRACCI-SSC

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