L’Alberghiero di Ladispoli in visita al Ghetto di Roma
LADISPOLI – Straordinaria lezione all’aperto per gli studenti della Quinta SA dell’Istituto Alberghiero di Ladispoli che giovedì 9 marzo accompagnati dalle loro Docenti Anna Gaspari (Letteratura e Storia) e Chiara Giacchetti (Scienze dell’Alimentazione) si sono recati in visita al Ghetto di Roma. Sorto circa 40 anni dopo quello di Venezia e tra i più antichi al mondo, fu istituito nel 1555 da Paolo IV. Gli ebrei dovevano risiedervi, come prescritto nella bolla Cum nimis absurdum, con un distintivo che li rendesse riconoscibili. Ma a caratterizzarlo rispetto al resto della città era anche il suo assetto urbanistico e architettonico legato al progressivo affollamento (costruzioni di sei-sette piani affacciavano su vie strettissime), all’edificazione di mura e alla vicinanza del Tevere, le cui piene lasciavano sulle case segni e colorazioni inconfondibili. Soppresso durante la breve parentesi napoleonica, “riabilitato” da Pio VII, vide abbattere le sue recinzioni per volere di Pio IX, ma fu solo con la fine del potere temporale della Chiesa e l’annessione di Roma al Regno d’Italia che la segregazione degli ebrei venne, almeno temporaneamente, abolita. Con il piano regolatore di fine Ottocento e la realizzazione dei muraglioni di arginatura del Tevere, il Ghetto acquisì una diversa fisionomia, fu costruito il Tempio Maggiore, nuovi isolati e ampi spazi presero il posto dei vecchi edifici. Ma al Ghetto è associata soprattutto la memoria della retata effettuata dai nazisti il 16 ottobre del 1943: solo sedici degli oltre mille ebrei deportati poi ad Auschwitz riuscirono a sopravvivere.
“Una giornata densa di emozioni”, hanno commentato gli allievi dell’Istituto Alberghiero, che hanno poi proseguito la loro visita raggiungendo la Chiesa di Santa Maria in Cosmedin e la Bocca della Verità, quindi il Pons Iudaeorum e l’Isola Tiberina.
Trattandosi di una sezione di Sala ed Enogastronomia, non poteva mancare però un approfondimento sui temi riguardanti la cucina ebraico-romanesca naturalmente legata alla vicinanza del Tevere e del porto fluviale di Ripa Grande. Dal richiestissimo brodo di pesce al “carciofo alla giudia”: piatti immancabili nei ristoranti del Rione Sant’Angelo. Un’immersione indimenticabile nei sapori della tradizione ripercorrendo il cammino della storia, con la scoperta di relazioni profonde e spesso inattese fra i luoghi. Come quella che unisce la cucina del Ghetto al litorale laziale e alla città di Ladislao Odescalchi: è noto infatti che per preparare il “carciofo alla giudia” deve essere utilizzata rigorosamente la varietà dei cimaroli, quelli coltivati, per intendersi, proprio nelle campagne di Ladispoli e Cerveteri.