Nel settembre del 1981 la musica Pop italiana veniva rivoluzionata dall’uscita dell’album discografico di Franco Battiato, dal titolo “La voce del padrone “. Un canto ironico, filosofico e sottile su un’Italia che stava cambiando. Anni dopo, eccoci ancora qua ad assistere all’ennesimo capitolo del kolossal che ha preso forma attraverso editoriali ed articoli di stampa da voi pubblicati. Nei pezzi, traspariva un palese sconcerto rispetto al voto contrario dei lavoratori di Port Mobility, in merito alla proposta avanzata dalla società. Accordo riportato sulle vostre pagine con un mero “in estrema sintesi”, citando le parti che meglio giustificavano il successivo “hanno vinto i no che francamente a noi osservatori esterni non è chiaro a cosa mirino veramente”. Commenti derivanti da negligenza? Cattivi suggeritori/informatori? Lo speriamo per voi, altrimenti la mala informazione che esce da questi articoli potrebbe essere interpretata in altri modi.
La domanda da voi posta è: perché mai questi lavoratori che rischiano il licenziamento hanno scelto di rifiutare un accordo per il blocco degli stessi?
Ve lo spieghiamo in poche parole, cari direttori. Il coro unanime dei lavoratori è sempre stato: stop ai licenziamenti e ricorso alla cassa integrazione. Nell’accordo da noi visionato non sembrava chiara e delineata la volontà di ricorrere alla cassa integrazione, tra l’altro spiattellata pubblicamente dal numero uno della società dinanzi a tavoli istituzionali dove erano presenti, tra gli altri, il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale Pino Musolino, ed il Sindaco di Civitavecchia, Ernesto Tedesco. I lavoratori, illusi, avevano davvero creduto a quelle parole e ai titoli dei giornali che annunciavano la fine della vertenza. Quella che sembrava una promessa si è così rivelata una bugia. Non ne avevano parlato anche i vostri giornali? E che fine hanno fatto quelle parole?
Noi lavoratori, consapevoli dell’effetto della crisi, non siamo certo contrari alla ristrutturazione aziendale, anche se crediamo ad una società di servizi che non mantenga solo i quadri di aree non partecipate da nessun lavoratore (a meno che da società di servizi non ci siamo trasformati nel Louvre), ma che ciò avvenga senza alcun licenziamento e con un accordo che rispetti la figura e la dignità del dipendente. Lo scopo utilitaristico della vertenza da parte della Port Mobility non è contemplato, soprattutto in virtù al lavoro svolto dall’Autorità Portuale, dall’Amministrazione Comunale e alla graduale ripresa del settore turistico. Invitiamo, a tal proposito, a leggere tutti i punti e le condizioni dell’accordo sottoposto all’assemblea poiché l’estrema sintesi, così come presentata dai vostri giornali, fa pensare che gran parte dei lavoratori della Port Mobility siano scellerati kamikaze. Ma può essere mai che più della metà dei lavoratori abbia questa vocazione?
Traete voi le conclusioni. Sui lavoratori non può essere scaricato il rischio di impresa, in virtù anche dei risultati ottenuti dalla società negli ultimi mesi (piano quinquennale, navettamento e tanto altro) e quelli che otterrà con l’accordo con il Comune sul trasporto dei croceristi, oltre gli interessamenti sul Roma Marina Yachting.
Ma visto che avete una spiccata predilezione per il gossip, ve ne raccontiamo una. Alla votazione dell’accordo sono stati invitati anche gli amministrativi (non coinvolti nell’eventuale accordo, non trattandosi di modifica contrattuale ma solo operativi) e sono intervenuti parenti di primo livello della società, compresi i quadri che hanno lavorato per scrivere l’accordo in questione.
Ma lasciamo perdere il gossip e parliamo di lavoro, il nostro ed il vostro. A voi consigliamo di informavi prima di giudicare sentenziosamente dei lavoratori che stano combattendo per il loro posto ed i loro diritti. Riteniamo ciò che nero su bianco avete stampato sulle vostre pagine (alcune finanziate da soldi pubblici), sia del tutto fuorviante. Meritiamo rispetto e non fango, perché siamo il lavoro operativo di una ex società di intereswe generale e senza di noi, sarebbe un estate ed un porto rovente.
I 59 LAVORATORI DEL NO