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Come spesso accade è meglio guardare in dietro nel tempo, ad epoche più felici per il pensiero umano, per meglio comprendere concetti e stili di vita più dignitosi di quelli che oggi ci condizionano. Tra crisi economiche, crisi di governo, guerre e terrorismo internazionale, crisi del lavoro e socio-culturale oggi siamo tutti un po’ stressati e angosciati. Si lavora tanto, troppo e male. L’illusione degli anni ’70 di un futuro dove le macchine e la tecnologia avrebbero reso l’uomo più libero e benestante si è tramutata in delusione e inganno. Oggi lavoriamo di più e in condizioni peggiori. C’è sempre meno tempo per noi stessi, per i nostri hobbies, le nostre passioni, per gli amici e per la nostra famiglia. Infine, quel poco tempo che abbiamo lo usiamo sui social o su internet per finire di stordirci. Ma gli antichi? Quelli senza i robot, la televisione, i computer e gli smartphone come vivevano? Una riflessione la andiamo a prendere nell’antica Grecia dove veniva celebrato l’ozio: « I Greci nell’epoca del loro splendore non avevano che disprezzo per il lavoro, solo agli schiavi era permesso di lavorare: l’uomo libero conosceva esclusivamente gli esercizi ginnici e i giochi dello spirito. Era questa l’epoca in cui si viveva e si respirava in mezzo a un popolo di Aristoteli, di Fidia, di Aristofani; erano questi i tempi in cui un pugno di valorosi travolgeva a Maratona le orde di quell’Asia che di lì a non molto Alessandro avrebbe conquistato. I filosofi dell’antichità insegnavano il disprezzo per il lavoro, degradazione dell’uomo libero; i poeti cantavano l’ozio, dono degli dèi: «O Meliboe, deus nobis haec otia fecit» («O Melibeo, quest’ozio è il dono di un dio». Virgilio, Bucoliche). Erano esclusi da questo privilegio, innanzitutto gli stranieri o i membri delle classi subalterne. Le persone dedite ai lavori manuali, come gli artigiani, non erano ben considerate in quanto scarsamente dedite all’ozio, che era alimentato dalla partecipazione alle attività teatrali, sportive o politiche. Il termine ozio era espresso dai Greci con la parola σχολή (scholḗ) che, secondo un’interpretazione etimologica, significava inizialmente “tempo libero”, per cui l’ozio indicherebbe il “possedere del tempo” da usare in attività disinteressate come lo studio con senz’altro fine che la conoscenza o la contemplazione intima di se stessi. Nell’antichità romana il termine indicava un periodo di tempo libero dagli affari (negotia) pubblici o politici in cui ci si poteva dedicare a un’occupazione che riguardasse lo studio (otium litteratum) o il soddisfacimento degli propri impegni domestici o della cura del proprio patrimonio. Di conseguenza lo schiavo, che per definizione era uno “instrumentum vocale”, non poteva essere ozioso in quanto destinato solo all’azione produttiva materiale. Per queste antiche civiltà, quindi, il lavoro era una cosa da schiavi, mentre l’otium era un privilegio degli uomini liberi e un dono degli dei. Nell’antica Roma si sviluppa l’idea delle Terme e delle cure termali. Le terme romane sono i precursori degli impianti odierni e rappresentavano uno dei principali luoghi di ritrovo durante l’antica Roma, a partire dal II secolo a.C.. Alle terme poteva avere accesso quasi chiunque, anche i più poveri, in quanto in molti stabilimenti l’entrata era gratuita o quasi. Le numerose terme erano un luogo di socializzazione, di relax e di sviluppo di attività vive per uomini e donne. Esse avevano diversi ambienti dedicati come il Calidarium destinato ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore, il Frigidarium solitamente circolare e con copertura a cupola e acqua a temperatura bassa, seguita verso l’esterno dal Tepidarium con acqua a temperatura moderata. In questi luoghi si veniva per rilassarsi, socializzare, riflettere, meditare, per staccare dalla quotidianità per ritrovare se stessi. Ecco, in sintesi, l’importanza del riposo per la salute. E’ nel riposo che ci conosciamo e diventiamo più consapevoli e diamo senso alle cose della nostra vita e ne riconosciamo la bellezza. Ricordiamoci sempre l’orrore dell’inganno perpetrato ai prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz i quali, entrando nel campo, leggevano la ridicola e offensiva scritta: “arbeit macht frei”, “il lavoro rende liberi”, per farli lavorare fino alla morte per i padroni nazisti.

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