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Tutte circostanze queste, che avrebbero ovviamente dei costi da sostenere.

Costi per mettere in sicurezza i luoghi di lavoro e gli stessi lavoratori, nonchè   necessari anche a fornire a questi ultimi, idonei dispositivi di protezione, così come disciplinato anche dal D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO.

Ma, costi anche per organizzare i controlli.

Poi, vi è il problema della parcellizzazione del lavoro.

Il profitto si sa, non di rado, prevale su tante scelte operate dall’uomo. Utilizzare determinati dispositivi di protezione e/o di sicurezza ha dei costi e può significare anche, rallentare il ciclo lavorativo e quindi di produzione ed a volte, la scelta potrebbe cadere, sul “meglio toglierli, disattivarli o non utilizzarli”, accettando così il rischio, e mettendo in conto, che semmai qualcosa accadrà, male che andrà, il responsabile dell’illecito, sarà indagato e semmai imputato, del reato di omicidio colposo, che tuttavia prevede, nel caso che lo stesso sia stato commesso a causa della violazione delle norme di prevenzione per la sicurezza sui luoghi di lavoro, una pena detentiva compresa dai 2 ai 7 anni, mentre se commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena detentiva è prevista dai 3 ai 10 anni.

Nei calcoli di tutto questo e nelle scelte scellerate di alcuni, c’è pure naturalmente, la lungaggine dei tempi di giudizio, che sono a loro favore, compresi quelli di un’eventuale prescrizione del reato per decorrenza dei termini.

Per quanto all’accettazione del rischio, un cenno è doveroso alla così detta teoria della “Società del rischio”,  in cui ognuno di noi, sta vivendo, rimandando a tal proposito alla lettura del pensiero di alcuni sociologi, tra i quali, i tedeschi Ulrich Beck e  Niklas Luhmann.

Continuando nella ricerca delle possibili motivazioni da cui possono derivare gli infortuni sul lavoro, c’è poi, da non trascurare il così detto ricatto occupazionale, che costringe alcuni lavoratori, assunti con determinate mansioni e conseguenti remunerazioni, a svolgere tutt’altro incarico, così come sembrerebbe sia accaduto anche nel caso di Luana D’Orazio, la quale sarebbe stata assunta con l’incarico di svolgere semplici mansioni di catalogazione, di fatto chiamata invece a svolgere un lavoro per il quale sarebbe stata necessaria, una particolare formazione e specializzazione, e che probabilmente, avrebbe previsto un maggior compenso economico. Per non escludere poi, sempre in questo caso, la presunta manipolazione di alcuni dispositivi di protezione del macchinario su cui la ragazza stava lavorando e per la quale le indagini sono ancora in corso.

Tutto questo avviene probabilmente ogni giorno ed in tanti luoghi, come pure in diverse situazioni lavorative, comprese le strutture pubbliche.

Personalmente, ho lavorato per quasi trent’anni, in un luogo pubblico, ove erano presenti anche altri servizi ed in cui ogni giorno prestavano la loro opera decine e decine di persone, oltre alla presenza quasi costante del pubblico, in cui i tetti delle strutture circostanti, erano realizzati in fibrocemento, o cemento amianto, meglio conosciuto come  “eternit”.

Materiale, ritenuto pericoloso, per la possibilità del rilascio nell’ambiente di fibre di amianto, come noto, scientificamente ritenute estremamente dannose per la salute.

A nulla sono valse le varie denunce presentate nel tempo alle autorità competenti, tant’è che tutto mi risulta sia rimasto esattamente come lo lasciai quasi due anni fa nel momento del mio collocamento a riposo.

Poi, ci sono altri grandi problemi, come il caporalato, quelli del lavoro in “nero” o del sommerso in generale, che vedono l’impiego silenzioso di maestranze abusive, fuori di ogni regola e norma e che in taluni casi, è anche plausibile pensare, dopo le loro morti, fatti scomparire nell’anonimato della loro esistenza, dalle grandi organizzazioni criminali, come le mafie e per questo, neanche inserite nei numeri delle statistiche.

Quante volte, alla guida del nostro veicolo, ci siamo trovati innanzi a cantieri stradali realizzati alla bene in meglio e senza la benché minima osservanza delle norme del Codice della Strada e del suo Regolamento di Esecuzione?

Questa è una delle fattispecie per così dire atipica, con le quali non di rado, oltre che gli stessi lavoratori, anche i cittadini si trovano a convivere ed a rischiare la loro pelle.

Quante volte ci è capitato di vedere un operaio arrampicato su di un ponteggio, senza che questi utilizzi i d.p.i. minimi di protezione, quali imbragature, elmetto, occhiali, guanti, ecc.? Oppure che lo stesso lavoratore sollevi carichi, per mezzo di approcciati e discutibili paranchi, senza prestare particolari attenzioni ed adottare le specifiche protezioni, anche nei confronti della gente che passeggia tranquillamente in strada passando sotto il carico sospeso?

In questo particolare periodo di pandemia, ci sono addetti alle attività commerciali, ai quali in non pochi casi, sembrerebbe non vengano forniti dai loro datori di lavoro i d.p.i. minimi di protezione, quali le mascherine di protezione, costringendoli ad approvvigionarsi autonomamente a proprie spese.

Insomma, la lista delle  mancanze, o omissioni che dir si voglia, sarebbe ancora molto lunga e qui mi fermo. Ciò che vorrei sostenere, permettendomi nel mio piccolo di richiamare l’attenzione degli organi preposti sull’argomento, è che in un paese che si definisce civile, non è più possibile attendere il morto di turno per aprire il caso e poi spegnere subito dopo i riflettori, voltando pagina il giorno successivo, archiviandolo nella generalità dei meandri della statistica e qualche volta, anche di quelli della giustizia e delle sue lungaggini.

Quello che occorre, come sempre del resto quando si ipotizza pericolo per la vita umana, è un’intensa attività di formazione, unita ad un’elevata azione di quella di prevenzione.

E’ sempre più necessario che le ispezioni sui luoghi di lavoro, debbano essere frequenti, assidue e dettagliate e non sporadiche e superficiali, oppure effettuate solo dopo che l’evento infortunistico sia avvenuto.

Quanti operai lavorano su macchinari manomessi, o privi della sicurezza prevista, o per i quali non siano state effettuate le revisioni periodiche previste?

Quanti imprenditori non investono in formazione del loro personale?

Quanti operai, anche per loro negligenza, non utilizzano i dispositivi di prevenzione previsti?

Come sempre, sono convinto che in Italia le leggi ci sono e forse anche troppe e nel troppo, in quello che io uso definire un ginepraio, è più facile sguazzare ed aggirare tanti ostacoli, a cui fa seguito come detto, la scarsità dei controlli, e di seguito ancora, l’effettività e l’efficacia della condanna, che ribadisco, dovrebbe essere certa ed immediata, così da ottenere il risultato sperato che dovrebbe essere principalmente quello di rieducare il reo.

Gli organi di controllo, seppur oberati da tante altre incombenze, ritengo ci siano, oltre alle ASL e all’INL, agenti ed ufficiali di P.G. di ogni organo di polizia, possono intervenire, organizzando anche controlli congiunti con l’ausilio di tecnici specializzati, nominati per l’occasione, ausiliari di polizia giudiziaria.

E’ tuttavia recentissima la notizia, secondo la quale, il ministro Orlando, avrebbe annunciato ai sindacati, l’assunzione di 2.100 unità da destinare all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, unitamente alla previsione di incentivi alle imprese che investiranno in formazione e sicurezza.

Se i tempi delle assunzioni fossero davvero brevi e qualora le stesse unità fossero effettivamente destinate per intero ai controlli esterni e non alle scrivanie, sarebbe già un buon passo in avanti, seppur sono convinto, numeri non sufficienti ai controlli assidui su tutto il territorio nazionale di cui parlavo poc’anzi. Un passo avanti anche per quanto riguarda la destinazione dei fondi alle imprese, per i quali, si auspica, vengano espletati altrettanti controlli, relativamente alla loro corretta destinazione, diversamente, prevedendo sanzioni severissime, non escludendo quella della chiusura dell’impresa.

fine

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