Il 3 maggio 2021, muore stritolata da un macchinario di una fabbrica tessile della provincia di Prato, la ventiduenne Luana D’Orazio.
Giovedì 5 maggio, muore schiacciato dagli ingranaggi di un tornio di un’azienda di Busto Arsizio, Christian Martinelli.
Il giorno successivo, mentre lavorava in un cantiere della provincia di Bergamo, perde la vita Maurizio Gritti, di 46 anni.
Venerdì 7 maggio, è la volta di Andrea Recchia, un operaio di 37 anni, che perde la vita lavorando in un’azienda di mangimi di Sorbolo, mentre sempre lo stesso giorno, a Gubbio, Samuel Cuffaro, di 19 anni ed Elisabetta D’Innocenzo di 52, muoiono a seguito di una deflagrazione, in una fabbrica ove lavoravano ed in cui veniva prodotta cannabis legale.
E’ sabato 8 maggio, quando, ancora una volta nella bergamasca, a seguito della rovinosa caduta da un ponteggio, che era stato allestito in un cantiere di un centro commerciale, muore Marco Oldrati di 52 anni.
Purtroppo, la lista è molto lunga e le vittime appena citate, sono solo la punta dell’iceberg che fa solo parte degli allarmanti dati che riguardano l’interminabile scia di morti bianche che ha interessato questi ultimissimi giorni.
Non trascurando poi, il verificarsi di centinaia di migliaia di infortuni sul lavoro all’anno, non mortali e di diversa gravità.
Ora, tralasciando fiumi di statistiche e montagne di letteratura sull’argomento, secondo i dati forniti dall’INAIL, relativi ai primi tre mesi di quest’anno, gli incidenti sul lavoro con esito mortale, sarebbero stati 185, più di due al giorno, a fronte dei 166 dello stesso periodo dell’anno precedente (l’11,4% in più), che poi si è concluso con oltre 2.000 vittime. Insomma, sembrerebbe di essere ben lontani da quei dati di un decennio fa, che inducevano a qualche speranza in più per aver portato le morti bianche, sotto la pur considerevole quota delle mille vittime.
Come detto, l’argomento è molto complesso e la statistica la fa da padrone con le sue mille e mille variabili che vengono applicate per un’indagine ad un determinato campione di popolazione di riferimento.
A tal proposito, la pandemia ancora in atto, per quanto concerne l’anno 2020, ha stravolto i numeri delle vittime sul lavoro, ampliando notevolmente la platea, con quelle avvenute tra le fila del personale medico e paramedico che ha contratto sul lavoro il COVID-19.
Tuttavia, non è questo il senso del mio intervento, che pur dimostra anche in quest’ultimo caso, che qualcosa, o forse meglio, più fattori, non hanno funzionato come avrebbero dovuto, con ogni probabilità prendendo di sorpresa, anche il campo sanitario, che in particolare agli inizi della diffusione del nuovo virus, non ha adottato, o lo ha fatto solo parzialmente, anche per la mancanza di un piano pandemico nazionale aggiornato, le cautele ed i protocolli necessari, a tutelare l’incolumità degli stessi operatori sanitari.
Posto quanto al punto precedente, come accennato in apertura, le vittime sul lavoro, continuano a riempire le cronache nere dei media in un inesorabile bollettino di morte giornaliero, che in questo periodo è forse velato dall’incessante e quanto mai martellante comunicato quotidiano, relativo ai numeri della positività alla pandemia ed a quelli dei decessi avvenuti, per i quali i media, sanno bene di avere numeri d’interesse, molto maggiori.
V’è da dire comunque, che le morti sul lavoro, non avvengono certo così per caso, un po’ in analogia a quanto accade in occasione del verificarsi di un incidente stradale, che salvo rari casi derivanti da improvvisi danni meccanici al veicolo e/o riconducibili ad eventi fortuiti ed imprevedibili, vengono a concretizzarsi perché qualcuno degli attori coinvolti, ha sbagliato, o non ha comunque osservato regole e norme del Codice della Strada.
Nel mondo del lavoro, accade più o meno la stessa cosa, inosservanza di regole e norme parziale, o addirittura essenza di prevenzione e protezione, unita in tanti casi, anche alla mancanza o corretta formazione dei lavoratori, unitamente all’insufficienza dei controlli.
continua…