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L’Istituto Alberghiero di Ladispoli ha ospitato la Seconda Edizione della competizione “Zio Carlo 1927”, la gara regionale di enogastronomia intitolata a Carlo De Rinaldis, fondatore della Cantina “Tenuta Tre Cancelli” di Cerveteri. E’ stata questa, a novembre dello scorso anno, la decisione della famiglia proprietaria dell’Azienda “Tenuta Tre Cancelli”, nell’anniversario della nascita del fondatore.

Sabato 7 aprile, dalle ore 8 alle 14, i migliori studenti degli Alberghieri del Lazio, futuri chef e maître, sono stati impegnati nella preparazione di piatti realizzati con prodotti tipici del territorio, che hanno dovuto poi esporre e  presentare con un vino in abbinamento (il Bianco Chardonnay “Zio Carlo” prodotto dalla Tenuta Tre Cancelli).
A coordinare l’iniziativa  il Prof. Renato D’Aloia, Docente di Ricevimento e Accoglienza Turistica dell’Istituto di via Federici.
“Siamo orgogliosi di ospitare questa prestigiosa competizione – ha affermato la Prof.ssa Valeria Mollo, Vicepreside dell’Alberghiero di Ladispoli – che dimostra gli ottimi risultati di una sinergia efficace fra il mondo della formazione e quello delle realtà imprenditoriali di successo del territorio”.
“L’Istituto Alberghiero rappresenta da sempre un punto di riferimento per la comunità di Ladispoli. – ha aggiunto la Prof.ssa Sara Leonardi, Docente di Economia e Gestione delle Aziende Ristorative e Fiduciaria dell’Istituto di via Federici – E’ nostro dovere di educatori valorizzare e far conoscere agli studenti le realtà produttive locali, soprattutto quelle che hanno contribuito a scrivere la storia del territorio, mettendo al centro i temi dell’ecosostenibilità, della cultura alimentare e ambientale”.

Era il 1927 l’anno in cui nacque Carlo De Rinaldis che, non ancora ventenne, emigrò dalla Puglia natìa, per arrivare nel Lazio, dove cominciò a lavorare come bracciante.
Di lì a poco, nel 1951, sarebbe cominciata quella riforma agraria, condotta dall’Ente Maremma, che portò alla progressiva scomparsa dei latifondi e alla costituzione di 2844 unità produttive, poderi di varie dimensioni che furono distribuiti alle famiglie contadine. Insieme al paesaggio, cambiarono i destini di migliaia di persone.
Dall’operosità e dalla tenacia di Carlo De Rinaldis, nacque l’azienda “Tenuta Tre Cancelli”, una realtà imprenditoriale che è stata capace di crescere negli anni, interpretando nel migliore dei modi l’anima più profonda del territorio cerite, “dove il tempo – sottolineano dalla Cantina – ha magicamente trasformato lava e nerofumo in ricche falde vulcaniche coperte da brillanti colori e profumi inebrianti”.
Ma c’è di più: per spiegare il proprio nome, e quindi la propria identità, i De Rinaldis non usano mezzi termini. Nella bellissima presentazione del loro website (http://www.tenutatrecancelli.com/chi-siamo/) si trova lo spirito più profondo dell’arte vinicola firmata De Rinaldis: “I nostri sono i cancelli del cielo. – si legge – Su questa terra, nell’antichità, gli uomini scrutavano il cielo per capire cosa fare, se fare, quando fare; noi oggi continuiamo a leggere il cielo nel nome di quella tradizione e al cielo abbiamo rivolto le porte della nostra azienda, che non è un caso si chiami ‘Tre Cancelli’: il cancello del sole, il cancello della luna, il cancello dell’imponderabile. Ognuno è l’inizio e l’arrivo di una strada che l’esperienza e la tradizione incrociano e fondono per creare i nostri vini”.
Non solo competizione, però. Sabato 7 aprile, nell’aula Magna dell’Istituto Alberghiero di Ladispoli, si è svolta anche una conferenza sul ‘Chilometro zero”. Relatrici Annalisa Burattini, archeologa del Comune di Ladispoli e Francesca Rocchi, Vicepresidente di Slow Food Italia. Dopo i saluti dell’Assessore alla Cultura di Ladispoli Marco Milani, del Sindaco di Cerveteri Alessio Pascucci e del titolare della Cantina ‘Tenuta Tre Cancelli’ Liborio De Rinaldis, è stata Lara Calisi, Responsabile Comunicazione dell’Azienda, ad introdurre i lavori: “Desidero ringraziare la Vicepreside dell’Istituto Alberghiero Valeria Mollo e le relatrici presenti. La giornata di oggi è straordinaria perché ci consente di mettere al centro del dibattito pubblico un luogo geografico e fisico, il nostro territorio, che è anche e soprattutto un luogo della memoria, della storia e dell’anima”.
Francesca Rocchi ha parlato di ‘chilometro zero, di ‘sovranità alimentare’ e di agroecologia, spiegando i vantaggi e le caratteristiche della ‘filiera corta’: “Si tratta di prodotti locali – ha sottolineato – che vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione. Il venditore è di solito lo stesso agricoltore o allevatore, non ci sono intermediari commerciali né costi di trasporto o distribuzione. E’ evidente che i prodotti ‘a Km zero’ offrono maggiori garanzie di genuinità e qualità sotto il profilo organolettico, ma il vantaggio – ha aggiunto Francesca Rocchi – è anche quello di rispettare l’ambiente, di valorizzare e preservare l’identità del territorio, imparando a conoscere e a riconoscere sapori tipici e tradizioni gastronomiche legate a luoghi specifici. Per non parlare dell’importanza del recupero di un rapporto salutare con la stagionalità dei prodotti e quindi con il ciclo della natura. L’importante – ha sottolineato Francesca Rocchi – è comprendere che consumare cibo è un atto etico. Slow Food è nata nel 1986 ed è oggi presente in 150 paesi del mondo”.
Secondo gli ultimi dati Istat sono circa 43 milioni gli Italiani che acquistano prodotti locali e a chilometri zero. Tra questi, ormai 18 milioni lo fanno regolarmente e 25 milioni di tanto in tanto, con una decisa tendenza a caratterizzare la spesa dal punto di vista qualitativo, salutistico ed etico. Un mercato in forte crescita, dunque, e sempre più orientato verso un consumo alimentare critico e consapevole.
Annalisa Burattini ha parlato, invece, di ‘archeologia del vino” , descrivendone il consumo nelle comunità protostoriche dell’Italia centrale tra la fine dell’Età del Bronzo e l’età Romana, senza dimenticare i modelli derivanti dal Vicino Oriente e dal mondo greco, incentrati sul banchetto e sul simposio. A questo proposito Annalisa Burattini ha sottolineato l’importanza dell’approccio iconografico nella ricostruzione della storia della viticoltura: basti pensare alla famosa hydria ceretana con la scena di Dioniso e di alcuni satiri sotto una vite a pergola, sorretta da tutori vivi, con chiara allusione ad una precisa tecnica viticola di tipo etrusco, coincidente con la ‘vite maritata’ a sostegni vivi, evidentemente praticata nella seconda metà del VI secolo a.C. Annalisa Burattini ha fatto il punto sullo stato dell’arte degli studi paleoambientali e paleobotanici, alla ricerca delle origini della viticoltura. Innegabili gli importanti sviluppi sulla conoscenza delle viti silvestri e sul confronto con i vitigni antichi ancora recuperabili in alcune zone dell’Italia centrale. Sempre per rimanere nel territorio, basti pensare alla rilevanza, per la ricostruzione del processo di domesticazione della vite, del sito archeologico della Marmotta (Anguillara Sabazia), che ha messo in luce l’elevata antichità della raccolta del frutto della vite selvatica nella penisola, già praticata durante il Neolitico e, con sistematicità, nella fase iniziale della media Età del Bronzo. Ma Annalisa Burattini ha anche ripercorso la storia del carciofo, altro prodotto tipico di Ladispoli, che ha contribuito a definire il profilo e l’identità del territorio.
E non c’è dubbio sul fatto che i luoghi in cui sono sorte Ladispoli e Cerveteri esprimano una cultura antichissima. Non soltanto perché vi si trovano ancora le orme dell’antico popolo etrusco, che qui sviluppò la propria civiltà. Agli Etruschi, secondo molti storici, si devono – come ha ricordato Annalisa Burattini – i primi studi sulle coltivazioni di viti, sugli innesti, sulla creazione di ibridi, sulla disposizione degli impianti. Dalle anfore tappate con sughero e pece alle bottiglie di oggi, dalla viticoltura etrusca “a tutore vivo” (o “vite maritata” – ossia legata ad altri alberi) alle tecniche attuali di coltivazione: scorrono i secoli, ma rimane intatta la qualità di un vino che beneficia di un clima mite e di un terreno di origine vulcanica, ricco di sali di potassio e di fosforo.
In realtà, però, i vigneti della Tenuta Tre Cancelli, che si trovano alle pendici dei Monti Ceriti (le cosiddette ‘Dolomiti del Lazio’) rimandano ad un passato ancora più lontano. Perché questa, come è noto, è area di antichissimi insediamenti che risalgono addirittura all’Età del Ferro e ad una ben definita facies culturale legata all’abbondanza di acque sorgive e anche alla vicinanza di bacini minerari straordinariamente importanti. Gli studi e i lavori di Teodoro Klitsche de la Grange, ripresi da Odoarto Toti (I Monti Ceriti nell’Età del Ferro) hanno confermato la rilevanza del bacino minerario dei Monti Ceriti, soprattutto in relazione alla nascita di stanziamenti precoci, anche rispetto a centri come Cere e Tarquinia. E se è innegabile che in una prima fase l’uso e la lavorazione dei metalli (soprattutto nell’area di Allumiere e Tolfa) abbiano determinato una plausibile preminenza delle vie del commercio minerario-industriale rispetto a quelle incentrate sui prodotti agricoli, è altrettanto certo che successivamente le due strade divennero parallele e di pari importanza. Senza voler ripercorrere per intero la storia più antica, è certo che tutto converge nel dimostrare la profondità e lo spessore straordinario del tessuto antropico del territorio cerite.

La Seconda Edizione del Concorso “Zio Carlo 1927” è stata vinta dal C.F.P. Alberghiero di Amatrice, che si è scontrato con l’ I.I.S. ‘Domizia Lucilla’ (Roma), l’I.P.S.S.O.A. ‘Ranieri A. Costaggini’ (Rieti), l’I.I.S. ‘Stendhal’ (Civitavecchia), e l’Alberghiero di Ladispoli.
Sabato 7 aprile a curare il servizio di ricevimento e accoglienza sono stati gli studenti dell’Istituto di via Federici, coordinati dalla docente Prof.ssa Carmen Piccolo con il supporto dell’Assistente tecnica Tiziana Feliciani. In sala e in cucina, il Prof. Michele Comito e il Prof. Antonio Costanzo.
Appuntamento al prossimo anno.

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