Domenico Tiburzi lo chiamavano “Domenichino”, fu il più famoso brigante della Maremma. Nacque a Cellere nel 1836 e morì a Capalbio il 24 ottobre del 1896, dopo 24 anni di latitanza durante una operazione dei carabinieri. Sono trascorsi oltre 120 anni e le sue leggendarie storie ancora si raccontano.
Venerdì 13 aprile, alle ore 17:30, presso il Complesso monumentale San Sisto (ingresso libero), si terrà la presentazione del libro di Giuseppe Bellucci: “Da Cellere a Capalbio – Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi” – Storia in ottava rima -. Un’opera che racconta le notti di luna piena, battute dal vento gelido di tramontana, a cavallo di un argenteo sauro maremmano, il “re di Montauto e del Lamone” guadi ancora il fiume Fiora in cerca di un rifugio, in cerca di pace, in quelle macchie sperdute che l’avevano visto dominatore incontrastato nella sua vita avventurosa e errabonda, durata ben ventiquattro anni.
Anni difficili che vanno dalla fuga dalle saline di Tarquinia (1872), alla morte nel casale delle Forane presso Capalbio (1896), senza considerare il periodo trascorso in libertà dall’omicidio di Angelo del Buono (24 ottobre 1867) alla sua cattura (15 settembre 1868), in piena epoca pontificia. Un brigante vissuto tra “due regni”, come ci piace ricordarlo, da Pio IX, sovrano dello Stato della Chiesa a Vittorio Emanuele II, re d’Italia.