(Settima Parte)
Difendersi dal mobbing, non è facile, ma si deve cercare di mantenere per quanto possibile il controllo e quindi non lanciarsi in decisioni affrettate e farsi prendere dall’impulsività. Come in molti casi di vessazioni di cui ho avuto modo di parlare, è necessario che la vittima, prenda coscienza che la colpa di ciò che accade non è assolutamente la sua, ma bensì di un disegno criminoso ben preciso, tentando di aiutarsi cercando alleati, anche se questo non è sempre facile, specie qualora il mobbing venga effettuato dall’alto, comunque assolutamente necessario raccogliere informazioni e prove, cercando al contempo di rafforzare il sé interiore, documentandosi e denunciando i fatti ed il mobber e quindi la situazione di persecuzione psicologica subita sul posto di lavoro, oltre che all’Autorità competente, cercando come detto alleati e rendendo pubblica la situazione cui si è sottoposti.
Purtroppo in Italia, non esiste ancora una specifica normativa che prevede il reato di mobbing e, intraprendere le vie legali, comporta decisione, risoluzione e come in ogni caso, la giustizia ha un costo, che non è certo da poco. Ed è proprio qui, che probabilmente, molti enti o aziende, giocano le loro carte, considerando anche le lungaggini della giustizia italiana, che in questo caso, vedono la competenza in capo al giudice del lavoro, ma anche di quello civile e di quello penale, sia per il risarcimento dei vari danni subiti dal mobbizzato, che nel caso di quelli psichici, che possono perdurare per anni, se non per l’intera esistenza e che comunque possono cagionare una malattia del corpo grave, gravissima o irreversibile, che in quest’ultimi casi, va inevitabilmente a ricadere, sotto il profilo penale, salvo il ravvedersi della sussistenza anche in concorso tra loro, di una serie di altri gravi reati.
Anche l’INAIL, oramai da tempo, riconosce il mobbing quale malattia professionale, seppur solitamente, pur ravvedendo il danno provocato al mobbizzato, dopo aver eseguito i dovuti accertamenti, viene a porre il dubbio sulla sussistenza del c.d. “nesso di casualità”. Che si viene a ricercare, in quel rapporto tra l’evento dannoso e il comportamento del soggetto (autore del fatto), astrattamente considerato.
In pratica, “Il nesso di causalità è quel rapporto tra l’evento dannoso e il comportamento del soggetto (autore del fatto), astrattamente considerato.
Il legame eziologico tra la condotta (commissiva o omissiva) e l’evento rappresenta la condizione imprescindibile per l’attribuibilità del fatto illecito (e, conseguentemente, del danno) al soggetto: in altre parole, la modificazione del mondo esterno (l’evento) può essere imputata ad una persona solo se la stessa sia conseguenza della sua condotta.” Fonte: Il nesso di causalità (www.StudioCataldi.it).