(Nona e Ultima Parte)
Come sopra accennato, nel nostro ordinamento, allo stato attuale, non esistono specifiche norme penali che sanzionano atteggiamenti vessatori o di dequalificazione professionale, ma l’individuazione delle ipotesi di reato si basa attualmente sugli effetti che tali azioni hanno sull’individuo che le subisce, con le conseguenti chiare difficoltà di provare l’esistenza di una connessione tra le molestie patite e l’insorgere di una malattia che ne sia una sua conseguenza, così come sopra accennato. In proposito, è auspicabile, che quanto mai prima possibile, il Parlamento legiferi in proposito, prevedendo in tal senso una distinta forma di reato, così come ad esempio accadde per il reato di stalking, introdotto in Italia nel 1999, con largo ritardo rispetto a molti altri paesi europei e che costrinse sino ad allora, gli organi di polizia, la magistratura giudicante e quella inquirente, a ravvedere laddove possibile, altre forme di vessazioni a carico dei responsabili degli illeciti, individuate quasi sempre, nelle percosse, nella violenza privata, ecc.
In sede civile si annoverano oramai sempre più numerose sentenze della Corte di Cassazione a favore di lavoratori vessati, le quali anche se di notevole portata, solo in poche occasioni, hanno visto i loro pronunciamenti denominare mobbing il comportamento tenuto dai datori di lavoro o dai loro colleghi nei confronti delle loro vittime, ma riconoscendo comunque anche il danno biologico, patito da queste.
Per citarne solo alcune: “costituisce mobbing l’irrogazione di una serie di provvedimenti disciplinari infondato, sproporzionati o manifestamente eccessivi adottati nel quadro di una specifica volontà di precostituire una base per disporre il licenziamento” (Corte Di Cassazione – 20 Marzo 2009, sentenza n.6907);
“È mobbing causare stress emotivo al lavoratore” (Corte di cassazione. Sezione quarta penale, sentenza n.23923/2009);
“Il dirigente che mobbizza i suoi sottoposti va incontro alla sospensione dall’incarico” (Corte di cassazione penale sentenza 13 luglio 2009 n.28553);
“Ha diritto al risarcimento del danno per mobbing da parte dell’azienda il lavoratore che viene preso di mira e ridicolizzato da un capo davanti ai colleghi” (Corte di cassazione, sentenza n.7382 del 26 marzo 2010);
Il giudice di legittimità configura il mobbing come una condotta sistematicamente vessatoria tale da ledere l’integrità fisica e la personalità del lavoratore subordinato in violazione all’art. 2087 cod.civ. (Corte di cassazione sentenza 6 marzo 2006 n.4774);
Per ultimo, non per importanza, la Cassazione, ha riconosciuto ad una lavoratrice, una situazione di mobbing, condannando l’ente di appartenenza che aveva ricorso in appello, a causa de “la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un proprio sottoposto, l’assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione”. (Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 maggio 2015, n. 10037)