PARLIAMO DI MOBBING. UN ALTRO FNOMENO SOMMERSO (Rubrica a cura del Dr Remo Fontana, Criminologo)
(Seconda Parte)
Tornando all’analisi del problema mobbing, come in ogni teatro, abbiamo degli attori, che in questo caso vengono individuati in tre figure fondamentali: il Mobber, o colui che esercita l’attività di vessazione, la vittima, che è quella che naturalmente le subisce, ma anche gli spettatori, che possono avere ruoli diversi a seconda dei casi.
Il mobbing può essere esercitato dal basso, definito anche down-up, quando il mobber, o per meglio dire colui che lo esercita, si trova in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Generalmente questo avviene quando un gruppo di sottoposti, mettono in discussione l’autorità del superiore gerarchico, sostanzialmente in una sorta di aggressione, anche psicologica, così come nel caso degli uccelli di Konrad Lorenz. Oppure commesso dall’alto verso il basso, quando naturalmente il mobber viene a trovarsi in una posizione sovraordinata, rispetto alla sua vittima, esercitando in questo modo, abuso di potere ed avendo in proposito maggiore facilità nell’eseguire le sue azioni vessatorie.
Abbiamo poi il mobbing, c.d. tra pari o orizzontale, che avviene tra due o più colleghi, che posseggono pari ruoli, che è costituito da piccole invidie, pettegolezzi e rivalità, mentre il c.d. bossing o mobbing strategico, è molto spesso utilizzato dalle imprese, che intendono allontanare dal mondo del lavoro, soggetti scomodi, che con modi diversi o comunque legittimi, non sarebbe possibile altrimenti fare, trovando in questo modo una sorta di scorciatoia, per togliersi di torno il dipendente non gradito. Una fattispecie a sé stante, consiste nel doppio mobbing, il quale, oltre che agire sulla vittima, coinvolge anche la sua famiglia.
Leymann, secondo una definizione ritenuta classica, definisce il fenomeno del mobbing come: “Il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro consiste in messaggi ostili e moralmente scorretti, diretti sistematicamente da uno o più individui verso un solo individuo, il quale, a causa del perpetuarsi di tali azioni, viene posto e mantenuto in una condizione di impotenza e incapacità a difendersi. Le azioni di mobbing si verificano molto frequentemente (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi). A causa della frequenza elevata e della lunga durata del componente ostile, questo maltrattamento produce uno stato di considerevole sofferenza sul piano mentale, psicosomatico e sociale.”
Leymann, mette in evidenza con chiarezza il fenomeno commesso mediante ripetute azioni vessatorie nei confronti del mobbizzato, usando in proposito la parola “terrore psicologico”, sostenendo poi, che a questo ne consegue il danno psicosomatico e quindi quello in cui i rapporti sociali ne vengono compromessi. Lo studioso, mette in questo modo in evidenza, le circostanze relative alla frequenza ed alla durata delle azioni oppressive, ma anche di quelle dell’impossibilità di reazione del maltrattato, dando notevole peso ai danni psicofisiche ed alle conseguenze nei rapporti sociali che ne derivano per la vittima del mobbing.