(A cura dell’Avv. Pietro CUCUMILE, dirigente Comandante del Corpo di polizia locale di Civitavecchia, dottore di ricerca in diritto amministrativo, giudice onorario minorile)
Prima Parte.
Il web, pur avendo migliorato la qualità di vita di molte persone, ha, di contro, reso più facile la consumazione di alcuni reati tra cui il delitto di diffamazione il quale è oggi facilitato, nel suo compimento, dall’uso della navigazione in rete. Cosicché, le diverse pubblicazioni di articoli, foto e pettegolezzi di varia natura, che vengono esercitati attraverso rubriche, blog e quant’altro, hanno provocato una sorta di effetto boomerang nei confronti di chi perseguiva successo ed ha trovato sanzioni. I dati informatici hanno, quindi, aumentato la capacità di consumare reati anche perché manca la percezione del reale il quale, invece, corrisponde al virtuale.
Sovente, entrano in conflitto il diritto ad informare ed i diritti della personalità, quali quelli all’onore od alla riservatezza. Tale scontro tra valori costituzionalmente tutelati si sostanzia frequentemente nel reato di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p.
Chi sia chiamato ad accertare la sussistenza del reato di diffamazione dovrà valutare, con ragionevolezza, il contemperamento tra esigenze contrapposte ed, in particolare, l’indagine dovrà essere improntata alla ricerca di elementi quali:
• la notorietà del personaggio ricorrente;
• l’utilità sociale delle informazioni che lo riguardano;
• la verità di tali informazioni;
• la continenza, ossia la forma misurata e non eccedente nell’offesa gratuita dell’esposizione dei fatti.
Per quel che concerne l’autore del reato, significativa è la previsione dell’art. 11 della legge n. 47 del 1948, il quale prevede, per i reati a mezzo stampa, una responsabilità civile in solido sia degli autori del reato che del proprietario della pubblicazione e dell’editore. Le offese alla reputazione personale od artistica o professionale realizzate attraverso la diffusione di notizie o foto diffamatorie, possono comportare rilevanti danni tanto alla vita di relazione ed ai rapporti personali, quanto a quella professionale. Si pensi, per esempio, ad eventuali perdite di chances per occasioni di lavoro.
Bisogna, inoltre, tenere presente che i comportamenti diffamatori configurano un trattamento di dati personali ai sensi del D.Lgs. n° 196/2003.
Il D.Lgs. n° 196/2003, infatti, prescrive il risarcimento dei danni per trattamento illecito dei dati personali, prevedendo una forma singolare in ordine all’aspetto probatorio. Esso stabilisce che chi cagioni danni per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento degli stessi ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile, ovvero mediante l’inversione dell’onere della prova.
L’art. 2050 c.c. precisa, infatti, che “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. In altre parole, l’attività di trattamento di dati personali è equiparata all’esercizio di un’attività pericolosa e determina un’inversione dell’onere della prova, per effetto della quale il danneggiato dovrà solo provare l’esistenza del danno; di converso, la colpa del danneggiante si presume, a meno che quest’ultimo non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno stesso.
Il trattamento dei dati personali da parte del curatore/webmaster di un blog gli implica l’onere di provare di avere compiuto tutte le verifiche necessarie prima della pubblicazione della notizia, ovvero tutte le precauzioni per evitare il danno, in quanto la diligenza omessa nel verificare la fonte, la verità e la continenza della notizia è idonea ad arrecare pregiudizio alla reputazione ed all’onore del diffamato.
Frequentemente sono reperibili e riportate affermazioni false, generiche e prive di riscontro nonché esternazioni denigratorie. L’esposizione dei fatti e la loro valutazione appare irrispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti.
Si consideri, poi, che per le opinioni espresse attraverso siti internet, newsgroup e blog, che non necessariamente costituiscono mezzi di informazione giornalistica, non sono invocabili i diritti di cronaca o di critica, nemmeno a voler inquadrare il diritto di critica come species del diritto di cronaca. Ebbene, criticare è lecito, offendere in maniera più o meno gratuita non lo è, soprattutto per chi sia iscritto all’Ordine dei giornalisti la quale circostanza fa presumere la conoscenza dei limiti alla corretta informazione. Da qui la conseguenza della punizione meritata per chi acceda a scelte semantiche scollacciate, se non addirittura propriamente volgari e beceramente insultanti.
Trattasi in molti casi di commenti non dovuti, di accuse generiche perpetrate attraverso l’utilizzo di un tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato (specie nei titoli) o da una artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre perché insignificanti o comunque di scarsissimo valore sintomatico.