(A cura dell’Avv. Pietro CUCUMILE, dirigente Comandante del Corpo di polizia locale di Civitavecchia, dottore di ricerca in diritto amministrativo, giudice onorario minorile)
Seconda Parte.
Sul punto, poi, la dottrina sostiene che l’utilizzo di internet a fini diffamatori integri l’ipotesi aggravata si cui all’art. 595, comma 3, c.p.p. ovvero offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale. Infatti, sul punto è altresì intervenuta una pronuncia di merito che, ritenendo insuperabili le molteplici e rilevanti obiezioni ad un’equiparazione, quantomeno in campo penalistico, tra internet e stampa, riafferma l’incompatibilità delle caratteristiche tecniche di internet con la definizione di stampato fornita dalla l. n.° 47 del 1948, non potendosi ignorare come il concetto di riproduzione, che ne costituisce il fulcro, presupponga una distinzione fisicamente percepibile tra l’oggetto da riprodurre e le sue riproduzioni, essendo poi indifferente il procedimento fisico-chimico mediante il quale la riproduzione viene posta in essere. Al contrario, il testo pubblicato su sito internet non può in alcun modo essere considerato una riproduzione, poiché il relativo file si trova in unico originale sul sito stesso, e può essere consultato dall’utente mediante l’accesso al sito. I files pubblicati su internet non sono, in realtà, riproduzioni, ma documenti informatici originali. Come si accennava, con riferimento alla diffamazione a mezzo internet e l’aggravante speciale per offese commesse con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ex art. 595 comma 3 c.p., l’orientamento giurisprudenziale ormai dominante, consolidatosi a seguito di una pronuncia intervenuta in tal senso da parte della Suprema Corte , è incline a sussumere la diffamazione a mezzo internet in un’ipotesi aggravata, riveniente non già dall’applicazione della disciplina sulla stampa o sulla radio-televisione, bensì dello stesso art. 595 c.p., che al comma 3 prevede un’aggravante speciale per l’offesa “recata…con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.
Pertanto, visto che appare opportuno avvalersi di un’interpretazione estensiva delle espressioni “scritti” e “disegni” o altri mezzi di cui all’art. 595 c.p., riferibile anche ai contenuti diffusi via internet e visto che gli atti lesivi sono diretti sia alla persona offesa che veicolati attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (il blog) , per i fatti denigratori on line si può invocare la tutela penale prevista dal combinato disposto degli artt. 595 c.p., comma 3^, e 52 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, di diffamazione aggravata.
Con riferimento alla questione del locus commissi delicti e la giurisdizione, è evidente che nessuna difficoltà insorge in ipotesi di reato commesso agendo dall’Italia in collegamento con un server parimenti installato in Italia, essendo il fatto interamente commesso nel territorio italiano e, conseguentemente, punibile alla stregua del principio generale di territorialità. Analogamente, se l’agente opera in e dall’Italia su un server installato all’estero sussiste la giurisdizione italiana ex art. 6, comma 2, c.p., alla stregua del quale il reato si considera compiuto in Italia.
Al contrario, la problematica si presenta in relazione ai casi in cui l’agente opera all’estero, e all’estero è pure collocato il server al quale egli accede, ove si rifletta che il messaggio è ricevuto, oltre che nel resto del mondo, anche in Italia.
La questione è correlata anche al corretto inquadramento del reato di diffamazione come di mera condotta o di evento. In un primo momento, le pronunce dei giudici di merito in materia di diffamazione avvenuta a mezzo internet per tramite di un server allocato all’estero sono state concordi nel ravvisare il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana. Tanto, sulla scorta della considerazione che, se la diffusione dei contenuti diffamatori è avvenuta fuori dai confini dello Stato italiano, anche la consumazione del reato deve ritenersi avvenuta all’estero, poiché la diffamazione si consuma nel momento in cui si verifica la diffusione della manifestazione offensiva diretta a più persone.