(Seconda Parte)
Si dice di lei che fosse una donna molto bella, sensuale ed affascinante e che proprio per questo fosse definita addirittura, “la stella di Casa Medici” ed anche che fosse altrettanto colta, dedita alle arti della musica, del canto, della letteratura e della prosa.
Ma, veniamo ai fatti. A seguito di un vero e proprio contratto, Isabella, nel 1553, all’età di sette anni, venne promessa in sposa da suo padre, al Duca di Bracciano Paolo Giordano Orsini. Nel 1558, quando ne aveva solo sedici, venne celebrato il matrimonio e Isabella, lasciò il bel salotto mondano della casa di Firenze, andando a vivere nel Castello di Bracciano.
Del Duca di Bracciano si racconta invece, che i suoi modi fossero tutt’altro che simili a quelli di Isabella, definito un cafone, rozzo, estremamente violento ed anche un assiduo donnaiolo.
All’epoca, un allievo del grande Maestro Michelangelo Buonarroti, fu incaricato di apportare una serie di innovazioni artistiche ed urbanistiche alla fortezza, tra le quali, la realizzazione della “Stanza Rossa”, chiamata anche la “Stanza di Isabella”, sulla quale, tra storia e leggenda, aleggiano racconti di seduzioni e vicende di sesso estremo e sfrenato, che la vedevano protagonista e che al mattino seguente, terminavano immancabilmente con l’uccisione della vittima del momento, o per meglio dire, dell’amante di turno.
Eccoci arrivati al punto. Si, sembra proprio che la Duchessa Isabella, nei lunghi periodi in cui il suo consorte era assente dal Castello, usava attirare nella sua stanza, sfruttando il suo fascino, la sua bellezza e i suoi modi intriganti, ignari amanti, che dopo una nottata di amore, sesso folle ed appassionato, venivano poi fatti scivolare in uno stretto pozzo, sul cui fondo li attendeva un deposito di calce viva che inesorabilmente fagocitava l’amante della notte precedente, disgregando il suo corpo, che spariva così nel nulla, liquefatto nella calce, non lasciando alcuna traccia di sé.
La Duchessa traeva in inganno le sue vittime, invitandole ad attenderla in un adiacente salottino, collegato alla camera da letto, (la c.d. “stanza rossa”), tramite uno stretto corridoio, ambedue privi di luce, con la scusa che di rimettersi in ordine dalla nottata infuocata e rivestita dei suoi abiti.
Le povere vittime, brancolando nel buio di questa sorta di labirinto ed ignare di ciò che le attendeva, finivano per cadere inesorabilmente in una botola non visibile per la mancanza di luce e posta proprio all’angolo del salottino, rovinando così nel vuoto sino a terminare la loro corsa nella calce viva che era depositata nel fondo dell’angusto pozzo.