Nel precedente articolo ho iniziato ad analizzare alcuni dei più importanti e significativi simboli della dipendenza affettiva che sono ormai entrati a far parte della nostra cultura e del nostro comune modo di pensare. Visto il simbolo del Pellicano, tratto dalla tradizione religiosa, oggi ne vediamo uno tratto dalle fiabe che tutti noi conosciamo sin dall’infanzia. Per spiegare brevemente come questi simboli entrino a far parte dell’immaginario culturale collettivo faccio notare che il mito, la fiaba, il racconto epico, le parabole sono stili narrativi che proiettano la coscienza in un luogo e in un tempo non reali e non ordinari ma straordinari, fantastici e, quindi, non razionali e non logici. Le fiabe iniziano di solito con: “C’era una volta, in una terra lontana un castello in un bosco incantato…”. Sin dall’inizio la coscienza disattiva le normali categorie di interpretazione della realtà e attiva l’immaginazione, la fantasia, l’emotività. Questi stili letterari arrivano immediatamente all’inconscio, senza filtri difensivi né resistenze razionali. Tutti accettiamo che un drago possa essere posto a difesa di una principessa rapita e nascosta sulla torre più alta di un castello incantato e che una fatina buona possa, con una polvere di luce magica, liberare dall’incantesimo un principe trasformato in un rospo. Non ci poniamo domande, non mettiamo in discussione nulla, non chiamiamo in causa il nostro giudizio critico, ma ci emozioniamo, ci spaventiamo e ci commuoviamo automaticamente di fronte a racconti che hanno dell’assurdo. La coscienza, aperta all’incredibile, al magico e allo straordinario, fa esperienza immediata e emotiva del racconto e fare esperienza vuol dire sia apprendere che conoscere. Il mito e la fiaba ci fanno fare esperienza attraverso l’identificazione nei personaggi e l’immaginazione creativa che ricostruisce nella nostra mente queste storie. E così si spiega come questi racconti e i loro personaggi siano entrati nella coscienza personale e collettiva e nella memoria emozionale e rappresentino per tutti modelli di comportamento e di ruolo.
Pensiamo ora alla storia de “LA BELLA E LA BESTIA”. Abbiamo una bella, giovane, delicata e innocente ragazza che si trova imprigionata nel castello incantato di un mostro dal corpo di orso e dalla testa di leone. Questo mostro è orribile, la sua voce è spaventosa e si muove in modo sgraziato e violento, ma lei con la sua grazia, con la sua voce soave, con la sua eleganza e con la sua dolcezza lo fa innamorare e con un bacio di vero amore del cuore lo trasforma in un principe bellissimo e nobile nei modi e nei sentimenti. La bella con il suo amore scioglie l’incantesimo, il sole torna a risplendere su tutto il regno e: “i due vissero felici e contenti”. Tutte le donne hanno impresso nel loro immaginario questo simbolo e il significato che esso veicola. L’uomo è un animale, burbero, rude e rozzo ma le donne, con il loro amore e con la loro bellezza, lo trasformeranno in un giovane modello dai tratti ariani, intelligente e raffinato che le renderà felici e le sposerà. In realtà sopportare pazientemente, perdonare e giustificare partner violenti, bugiardi e egoisti rinforzerà i loro comportamenti e diventeranno sempre più violenti e arroganti. I casi di stalking e di femminicidio lo confermano: in Italia ogni 3 giorni una donna viene uccisa dal proprio partner dopo una lunga escalation di maltrattamenti, minacce, pedinamenti e abusi. Questa rappresentazione dell’amore e del ruolo della donna e dell’uomo è dannosa, offensiva e in certi casi molto pericolosa. Se un uomo si comporta da bestia approfitterà dell’amore della donna, di certo non si trasformerà in un principe giovane e biondo perché su di lui non c’è nessun incantesimo, ma ignoranza e violenza. E poi l’amore non si conquista con le diete, le vocine gentili e gli abiti e le movenze eleganti. L’amore o c’è o non c’è o c’è altro, come l’interesse, lo sfruttamento o la perversione. Alla base della dipendenza affettiva c’è un inganno culturale sottile che va smascherato.
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