SSC. Il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli
Un’antica stazione postale del XVIII secolo sull’Aurelia Vecchia Il Castellaccio dei Monteroni è un esempio di fortificazione medioevale del XIV secolo, appartenne prima allo Stato Pontificio e in seguito, nel XVI secolo, ai marchesi di Riano per poi passare nel XVIII secolo a Livio III Odescalchi duca di Bracciano.
Il termine “Monteroni” deriva dagli alti tumuli della vicina necropoli etrusca, indagata nel 1839 dall’archeologa Donna Teresa
Caetani duchessa di Sermoneta, mentre prende il termine “Castellaccio” dopo la Seconda Guerra Mondiale a causa del suo
cattivo stato di conservazione; abbandonato intorno ai primi anni’60, è attualmente di proprietà del comune di Ladispoli. Il
castello ebbe un restauro nell’anno 2000 in occasione del Giubileo a cura della Provincia di Roma e della Soprintendenza ai beni architettonici del Lazio, ma per varie vicissitudini burocratiche non fu mai utilizzato, ad aprile del 2016 nell’ambito del nuovo progetto di recupero tra comune e Fondazione Diritti Genetici, durante i saggi di scavo, diretti dall’archeologa dott.ssa Maria Cristina Recco, sono stati evidenziati avanzi di epoca romana, un tratto dell’antica Via Aurelia e delle sepolture alla cappuccina, in una in particolare lo scheletro adulto aveva sul ventre una piccola anfora contenente un infante (enchytrismòs).
Il castello sorse quindi su ruderi romani, forse appartenenti ad una statio/mutatio a guardia dell’antico tracciato dell’ Aurelia
Vetus che univa Alsium a Centumcellae. La struttura è composta di due piani, ha le dimensioni perimetrali di m. 35 x 21 e
un’ altezza di m. 10. E’ dotata di quattro torri merlate di cinque metri di lato, costruite con pietrame locale di tipo Panchina toscana e Flysch della Tolfa. Oltre al castello vi erano una stalla ed un fienile in legno ormai scomparse. Nel 1747, vi dimorò San
Paolo della Croce durante il suo viaggio verso il Monte Argentario. Dalle opere del Micali e del Nibby sappiamo che nella prima
metà dell’Ottocento divenne prima una stazione postale e poi un’ osteria. In tale periodo ospitò personaggi come l’archeologo
George Dennis, l’architetto Luigi Canina e il poeta Gioacchino Belli. Il castello ebbe un restauro nel 1910 e durante tali scavi
furono trovate ceramiche di tipo genucilia col simbolo della ruota e buccheri databili al IV sec. a.C. Tutto il materiale entrò a far
parte di una collezione privata. Nel 1959 il regista Monicelli vi girò la scena finale del film “La grande guerra” con Alberto
Sordi e Vittorio Gassman, vista la distanza da Roma tutta la troupe dormì nel fienile e nella vicina fattoria tutt’ora esistente.
(Glauco Stracci-SSC)